L’inchiesta “Lover Boy” segna per certi versi il funerale dei rapporti tra giornalisti e uomini in divisa. Da diverso tempo a questa parte è diventato sempre più complicato avere notizie di prima mano. È diventato persino difficile sapere di un incidente qualunque, un episodio banale. Se penso ai tempi in cui venivamo invitati a prendere “un caffè” nei luoghi in cui erano in programma blitz e arresti di ogni tipo, se penso alla fiducia reciproca di quegli anni, non posso che essere travolto da uno grande sconforto. Otto mesi fa ci imbattemmo nell’auto della Polizia in borghese e, per evitare di mandare all’aria l’operazione, a denti stretti sapemmo dell’inchiesta, tra l’altro iniziata molto prima.
Quel giorno alcuni poliziotti sentirono il bisogno di venire a trovarci in redazione per essere sicuri che non avremmo utilizzato le immagini girate qualche ora prima e soprattutto per evitare che facessimo menzione delle poche informazioni reperite a fatica dopo alcune telefonate. Trovammo l’escamotage nel titolo del pezzo, aggiungendo un apparentemente immotivato “strada sotto inchiesta”. Era generico al punto giusto e poteva significare ogni cosa.
Ieri mattina mi alzo prima delle prime luci dell’alba, a cui si fa come sempre riferimento, e scopro da un comunicato stampa inviato al mondo intero che quell’inchiesta si era conclusa con 20 arresti. In altri tempi almeno un’oretta prima, anche solo in segno di rispetto e gratitudine per la collaborazione, sarebbe arrivata la soffiata. Niente di articolato, ma qualche notizia in più della solita convocazione in Procura per sapere “tutti i dettagli”, che tutti pubblichiamo quasi contemporaneamente. Era già successo in altre occasioni. Un caso su tutti quello dell’inchiesta su zia Martina (arrestata poco dopo i nostri primi video), per esempio, fummo addirittura invitati a tirare il freno a mano perché troppo vicini alla verità.
Le fonti per un giornalista sono sacre, tuttavia sono sempre meno e ormai attengono a rapporti decennali fatti di stima e apprezzamento per due lavori, quello del giornalista e del servitore dello Stato sempre più complicati. Una distanza che in molti casi genera disastri informativi. In certe occasioni, quando prendi grossi rischi nell’approfondimento della notizia, invidio i colleghi che si accontentano di rilanciare questo o quel comunicato stampa, senza rendersi conto di quanto lontano sia il il senso più profondo dell’essere un giornalista.
Il paradosso? Siamo una redazione di poche, pochissime persone e quindi ieri mattina alle 10 non siamo stati in grado di partecipare alla conferenza stampa in Procura. Ribatteremo come tutti il comunicato stampa. Un’occasione in più per ringraziare gli uomini e le donne in divisa che ci dimostrano ogni giorno di avere ancora fiducia in noi e nel giornalismo.
Editoriale
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