“Mio Marito Nicola non è un boss, ma solo un ladro e sta finendo di scontare la sua pena. Non siamo un clan e non siamo affiliati a nessuno non capisco perché vogliano a tutti costi farci passare per dei mafiosi quando non lo siamo mai stati”. Lei è Gianna Caricola, moglie di Nicola Vavalle, ai domiciliari fin quando ad agosto scorso è tornato in carcere. Secondo quanto stabilito ha avuto contatti con familiari diversi da quelli del suo nucleo di residenza in occasione dell’arresto di due dei suoi quattro figli: Giuseppe e Francesco.
Il 23 agosto i due avrebbero picchiato nel bar di famiglia Domenico Franco, 46enne affiliato al clan Strisciuglio, prima che Giuseppe gli sparasse alle gambe con una pistola, mai ritrovata. In quella occasione oltre all’inasprimento della pena per il capofamiglia, furono arrestate a vario titolo anche la stessa Gianna e la figlia Tina. La prima ripulì la scena del crimine e accompagnò la vittima all’uscita; l’altra, invece, portò Giuseppe in un altro luogo dopo la sparatoria. Entrambe le donne, in ogni caso, si trovavano al piano superiore, ovvero nella parte al piano stradale del Gran Caffé, il bar di famiglia in viale delle Regioni, al quartiere San Paolo.
“È vero, ci sono stati screzi con gli Strisciuglio, ma per fatti personali, non certo per il controllo di nessuna attività illecita nel territorio – continua la figlia di Nicola -. Mio padre non è mai neppure stato trovato in compagnia di affiliati”. Di natura personale sarebbe stato anche il confronto di quel 23 agosto tra Domenico Franco, del clan Strisciuglio, e i due fratelli Vavalle. Per non dare nell’occhio scesero nei locali sotto il livello stradale, una sala adibita all’organizzazione di feste private. Dalle parole si passò ai fatti e Giuseppe tirò fuori la pistola. I due fratelli, con la promessa del padre fatta alle Forze dell’Ordine, si consegnarono poco dopo, accompagnati dal fratello maggiore. L’intenzione era quella di andare direttamente al carcere di Bari, ma furono intercettati e fermati qualche isolato prima, in corso Alcide De Gasperi.
Giuseppe si è accusato della sparatoria, lo stesso Franco aveva fatto il suo nome. “Franco il giorno prima aveva incontrato mio fratello piccolo, Checco, esprimendo il suo disappunto per il comportamento di Giuseppe. Diceva che lo aveva guardato storto – spiega Tina Vavalle – si è trattato di un fatto personale, non certo di un avvertimento a un esponente di un clan rivale. Noi non siamo un clan, nel senso che non gestiamo alcuna attività illecita”. A sentire le due donne non c’è alcuna rivalità, ma il comportamento di Giuseppe e Francesco Vavalle evidentemente agli Strisciuglio non è mai piaciuto, tanto da essere scampati più volte ad alcuni agguati, commissionati e messi a segno anche dal pentito reo confesso Donato Telegrafo, con la complicità di Nicola Cassano.
Screzi, conferma in alcune dichiarazioni Arcangelo, fratello di Donato. I due Telegrafo non parlano mai di rivalità tra clan con i Vavalle, anzi avrebbero confermato che Nicola è un ladro, uno che esce la mattina per andare a rubare. “Non ci hanno mai chiesto i soldi, quando sono venuti a spendere nel bar hanno sempre pagato – spiega Gianna – forse l’invidia per il nostro tenore di vita, per il fatto che il bar andasse bene. Noi con questa attività mangiavamo, ora ce lo hanno affossato, i dipendenti se ne sono andati tutti e la gente ha paura di entrare”.
La situazione è precipita a cominciare dal 2017, quando Nicola Vavalle è condotto in carcere per scontare un cumulo di pena a 12 anni di reclusione, diventati 7. Una tensione crescente fino ai primi episodi delittuosi noti alle Forze dell’Ordine. A marzo 2020 sparano all’esterno del bar, dopo pochi giorni un’altra sparatoria. Questa volta crivellano di colpi la macchina di Francesco e il giorno dopo si accaniscono contro la saracinesca dell’attività di un familiare. A maggio 2021 il bar è oggetto di un atto incendiario, mentre a luglio si spara contro Giuseppe. Nessuno resta ferito. A ottobre 2021 l’obiettivo del gruppo di fuoco è ancora Francesco: l’auto è crivellata di colpi e lui è vivo per miracolo. Solo due giorni dopo la saracinesca del bar viene crivellata di colpi con un Kalashnikov. La stessa Tina è coinvolta in un agguato. A luglio scorso, più o meno un mese prima del ferimento di Domenico Franco, Francesco Vavalle è vittima di un altro attentato.
Tra gli affiliati al clan Strisciuglio e i Vavalle di sicuro non scorre buon sangue e in certi ambienti gli sgarri si risolvono in questo modo. La bella vita dei due Vavalle, però, certamente non serve a rendere il clima più tranquillo. “Avere precedenti per furti e rapine non significa essere un clan, non capiamo perché vogliano a tutti i costi attribuirci l’etichetta di mafiosi – continua nel suo racconto Tina – non vorremmo arrenderci, ma stiamo pensando di lasciare il bar, diventa sempre più difficile andare avanti”.