Con la sentenza del 27/01/2023, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in ottemperanza del magistrato barlettano, ribadendo l’illegittimità della nomina del dott. Bombardieri, ordinando altresì al CSM di adeguarsi provvedendo nel termine di 60 giorni alla formalizzazione della nomina del dott. Domenico Seccia, quale procuratore capo.
Per la definitiva attuazione di quanto disposto, il Consiglio di Stato ha altresì nominato come commissario ad acta l’attuale vice presidente del CSM il quale, in caso di perdurante inerzia dell’organo di autogoverno, dovrà provvedere alla nomina in questione. La vicenda quindi non potrà avere esito diverso.
Il Consiglio di Stato ha infatti ribadito che solo il dott. Seccia è in possesso, tra gli altri, di un requisito indispensabile per ricoprire l’incarico, ossia l’aver già svolto in passato funzioni direttive. Nelle motivazioni della sentenza il Consiglio di Stato ha altresì dato atto dell’archiviazione totale del procedimento disciplinare avviato nei confronti del dott. Seccia in relazione alle accuse di corruzione mosse a suo carico nell’ambito del procedimento penale presso la Procura di Lecce scaturito dalle asserzioni del collaborante Flavio D’introno.
Osserviamo sul punto che l’archiviazione in sede disciplinare conferma l’inesistenza, nel fascicolo della procura di Lecce, di concreti elementi idonei a supportare una qualsivoglia accusa di corruzione a carico del dott. Seccia da parte del commercialista barese Massimiliano Soave. Ricordiamo altresì che tale procedimento è stato definito con richiesta di archiviazione accolta dal Gip di Lecce nel settembre 2021.
E infatti nell’ambito di tale procedimento la Procura di Lecce conferì a dicembre 2019 una specifica delega di indagine, ai Carabinieri di Barletta finalizzata in maniera specifica a “riscontrare” le dichiarazioni accusatorie del collaborante usuraio Flavio D’introno (e del suo sodale Savasta ormai ex magistrato reo confesso di corruzione) rese in danno del dott. Seccia circa i fatti corruttivi evidentemente solo astrattamente ipotizzabili sino a quel momento nel fascicolo d’indagine del Pubblico Ministero di Lecce.
Orbene dall’analisi dello stesso fascicolo, il n. 4379/2019 R.G. 21 Procura di Lecce, non emerge che sia mai stata redatta e depositata dai Carabinieri di Barletta alcuna informativa, in esecuzione della delega suddetta.
L’unica interpretazione possibile di tale carenza è che le indagini non abbiano evidenziato alcun elemento di riscontro alle congetture accusatorie dell’usuraio D’Introno. Non c’è alcun dubbio. Il dato è incontestabile e del resto a fascicolo ci sono già altri chiari elementi documentali che provano l’assoluta estraneità del dott. Seccia a qualunque ipotesi di reato anche solo in via astratta.
E sono i seguenti di cui non si troverà riscontro nella successiva richiesta di archiviazione:
1) Nel verbale di interrogatorio del 10 ottobre 2018 Flavio D’Introno riferisce di non avere mai avuto rapporti con il dott. Seccia (sic !); egli dice testualmente al PM inquirente “Per quanto riguarda me io ho avuto rapporti di pagamento solo con i magistrati di cui ho parlato (Ha parlato di Savasta, Nardi, Scimè non di Seccia); le farneticanti contraddizioni sono evidenti;
2) il dott. Seccia non è mai stato il relatore delle sentenze di Commissione Tributaria relative ai contenziosi tributari dei parenti di D’Introno (si noti nemmeno del Flavio D’Introno in persona) così come si evince dalle stesse sentenze acquisite dalla G di F in sede di indagine (ed elencate in dettaglio in un’apposita tabella molto chiara prodotta ai Pm inquirenti);
3) gli accertamenti bancari svolti sui conti correnti di Flavio D’introno (come già detto condannato in via definitiva per numerosi episodi di usura in danno di varie vittime del suo reato) mostrano massicci prelevamenti di contanti destinati ad attività private del medesimo senza alcun collegamento anche solo astratto con il dott. Massimiliano Soave, commercialista e fornitore di servizi professionali alla famiglia D’Introno regolarmente fatturati, dichiarati e tassati (il dott. Soave da noi interpellato sul punto ci ha preannunciato svariate azioni giudiziarie a tutela dei propri diritti con interessantissimi sviluppi di cui vi daremo conto in successivi articoli); le accuse dell’usurario D’Introno circa un flusso corruttivo a favore del dott. Seccia rappresentano quindi farneticanti e astratte congetture smentite dagli accertamenti bancari svolti di Pm leccesi;
4) il dott. Seccia, come Giudice tributario, non solo non ha mai prestato anche solo indirettamente il fianco a decisioni favorevoli per i D’Introno ma, in maniera diametralmente opposta, come si sta per vedere, ha invece stoppato il tentativo di dare un indebito rango giudiziario tributario agli illeciti perpetrati in sede penale dai sodali D’Introno – Savasta; infatti nel corso del 2011 la Ceramiche Base Srl (società amministrata dal fratello di Flavio D’introno socio della stessa società) presentava ricorso in CTP (fascicolo n. 2509/2011) invocando la nullità di una cartella esattoriale di ben € 3.500.000 (tremilioni e cinquecentomila euro) per una presunta inesistenza della notifica della cartella stessa cosi come asseritamente comprovata da un sequestro probatorio dei ruoli (per asserita falsità delle relative relate di notifica) promosso e ottenuto in sede penale dall’ex magistrato Antonio Savasta reo confesso sodale dello stesso Flavio D’Introno (anche per tale episodio relativo all’illecito sequestro penale dei ruoli il medesimo Savasta è stato tradotto agli arresti nel gennaio 2019 dalla Procura di Lecce); il ricorso giunge per la decisione alla Sezione XII, della Commissione provinciale tributaria di Bari, presieduta dal Dott. Domenico Seccia il quale, dall’alto della sua competenza ed esperienza, sente puzza di bruciato, fiuta il tentativo di valorizzare in sede tributaria (tramite gli ignari difensori) le condotte illecite dei sodali D’Introno – Savasta e, assieme ai componenti della commissione da lui presieduta, rigetta, con sentenza edita il 26.6.2013, il ricorso del D’Introno condannandolo altresì al pagamento della somma di € 12.500 per spese processuali (sic !); ovviamente il dott. Seccia, tramite il suo difensore in sede penale, ai fini dell’accertamento della verità processuale, ritiene doveroso inoltrare ai PM leccesi inquirenti (con pec, ricevuta, ed accettata) la sentenza di rigetto quale ulteriore e determinante elemento di prova della sua totale estraneità ad ogni anche solo astratta ipotesi corruttiva.
Ma torniamo alle motivazioni, nette e penetranti, della sentenza del Consiglio di Stato del 27/01/2023 riferibili in particolare al possesso solo da parte del dott. Seccia e non del dott. Bombardieri, di un requisito indispensabile per ricoprire l’incarico di Procuratore Capo di Reggio Calabria, ossia l’aver già svolto in passato funzioni direttive.
Le riportiamo di seguito testualmente. “Il giudicato imponeva in primo luogo di considerare le funzioni direttive ricoperte dal dottor Seccia, oggetto di un’immotivata svalutazione nel giudizio comparativo svolto in occasione della delibera annullata all’esito del giudizio di cognizione, malgrado l’esperienza in questione costituiva un profilo che valesse a differenziare a favore dello stesso ricorrente (Seccia) il profilo di carriera rispetto al dottor Bombardieri, che mai aveva ricoperto incarichi di direzione di uffici giudiziari. In sede di riesercizio del potere valutativo il Consiglio superiore è quindi andato alla ricerca di elementi di ordine quantitativo-dimensionale che potessero consentire di eliminare l’obiettiva prevalenza sul piano qualitativo derivante dal maggior rango delle funzioni svolte dal medesimo ricorrente. Sennonché nella descritta prospettiva, sintomatica di per sé dell’intento di vanificare l’utilità del giudicato, l’organo di autogoverno è incorso in due palesi errori, che corroborano l’ipotesi dell’elusione posta a fondamento del presente ricorso in ottemperanza. Come si sottolinea in quest’ultimo, è stato attribuito particolare rilievo alle dimensioni dell’ufficio di procura di Catanzaro, in cui il controinteressato (Bombardieri) ha ricoperto l’incarico di aggiunto, che tuttavia sul piano organizzativo non è compreso tra gli uffici requirenti di primo grado di maggiori dimensioni, elencati nell’allegato A al testo unico sulla dirigenza giudiziaria. In contraddizione con la classificazione degli uffici giudiziari su basi dimensionali da esso stesso elaborata in via generale, il Consiglio superiore ha quindi introdotto in via postuma rispetto all’originaria delibera di nomina, annullata all’esito del giudizio di cognizione, un elemento estrinseco all’indicatore attitudinale previsto dal più volte richiamato art. 18, lett. a), del testo unico sulla dirigenza giudiziaria, che nell’attribuire rilevanza alle «funzioni direttive o semidirettive», demanda al giudizio da svolgere in concreto di condurre la valutazione «con riferimento ai concreti risultati ottenuti nella gestione dell’ufficio o del settore affidato al magistrato in valutazione, desunti dalla gestione dei flussi di lavoro e delle risorse, accertati in particolare sulla base dei documenti allegati ai progetti tabellari o organizzativi, dei pareri della commissione flussi, delle relazioni di cui all’articolo 37 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111 ed eventualmente dalle relazioni ispettive». In nessuna parte della disposizione di circolare ora richiamata si prevede quindi che possa attribuirsi rilievo alle dimensioni degli uffici in cui le funzioni direttive o semidirettive sono state svolte. Peraltro, l’intento elusivo è particolarmente evidente sul punto laddove si consideri che la consistenza organica di un ufficio non può essere ascritta a chi ha in esso ricoperto funzioni semidirettive, e che, con particolare riferimento agli uffici requirenti, ha dunque ivi svolto il coordinamento solo di un gruppo di sostituti ad esso addetti, e non certo di tutti quelli in organico nell’ufficio medesimo, come sottolinea il ricorrente nella propria memoria conclusionale. Ancora più evidente è l’elusività del giudicato della nuova nomina del controinteressato nella prevalenza con essa attribuita al controinteressato in relazione alle esperienze nella trattazione dei procedimenti per reati di mafia ex art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., rilevante ai fini dell’incarico di direzione di uffici di procura della Repubblica situati «in zone caratterizzate da rilevante presenza di criminalità di tipo mafioso», ai sensi del parimenti menzionato art. 32, lett. b), del testo unico sulla dirigenza giudiziaria. A fronte del fatto che il solo ricorrente (Seccia) può vantare attività di coordinamento investigativo – funzione evidentemente qualificante l’esperienza rilevante sul piano attitudinale specifico per l’incarico direttivo da assegnare – la nuova delibera consiliare annette per contro al dottor Bombardieri una prolungata e variegata esperienza in materia, che tuttavia non risulta dalla domanda di partecipazione al concorso per l’assegnazione dell’incarico e dalla documentazione ad essa relativa”.
Conclude quindi il consiglio di Stato:
“Il ricorso in ottemperanza deve pertanto essere accolto. Per l’effetto va dichiarata la nullità della nuova nomina del dottor Bombardieri a procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Al Consiglio superiore della
Magistratura va dunque ordinato di provvedere sull’affare, attraverso un giudizio comparativo che tenga conto che il dottor Bombardieri non ha documentato significative esperienze nella trattazione di reati di mafia ai sensi dell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., e non può vantare esperienze direttive, ma solo semidirettive, che consentano di avvalersi della consistenza organica dell’ufficio di procura in cui ha svolto le funzioni in questione. A questo scopo è assegnato il termine di 60 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, notificazione della presente sentenza……. Le spese di causa sono regolate secondo soccombenza, che fa capo a tutte le parti resistenti, e sono liquidate in dispositivo”.