“Sarei stata arrestata o uccisa se mi fossi presentata così vestita e truccata in Iran. Non avrei nemmeno potuto parlare da un palcoscenico. Ma come molti ragazzi del mio Paese ho decios che la paura non deve fare più paura”. Pega Moshir Pour, la 31enne attivista di origini iraniane, lucana e residente a Bari, ha portato sul palco di Sanremo nella seconda serata il tema dei diritti civili e la condanna del regime dell’ayatollah. Lo ha fatto insieme a Drusilla Foer con cui ha cantato i versi della canzone diventata inno della rivoluzione: Baraye, scritta da Shervin Hajipour. “Sono una ragazza nata con i racconti del Libro dei Re e cresciuta con la Divina Commedia. Voglio raccontare cosa accade in un Paese bellissimo, dove dall’uccisione di Mahsa Amini da parte della polizia morale, il popolo iraniano si sta sacrificando per difendere il proprio paradiso. In Iran si rischiano 10 anni di prigione se si balla per strada, è proibito baciarsi, esprimere la propria femminilità. C’è tanta povertà, bambini che chiedono l’elemosina, i rifugiati afghani che non possono farsi una nuova vita, ma vengono perseguitati. In carcere ci sono 18mila prigionieri tra politici e intellettuali”.