“Sono arrivato al punto che se vedevo un parente o un amico morire di fame, quei soldi che avevo in tasca preferivo spenderli per giocare e non per aiutarli”. La storia di Enzo e Rosa potrebbe essere comune a tante famiglie che devono lottare con un parente affetto da ludopatia. Una dipendenza dal gioco di azzardo che negli ultimi anni è vista come una patologia che può essere curata solo con l’aiuto di esperti. Vito, nome di fantasia, dopo aver visto i nostri video in cui raccontavamo quanto il gioco abbia ridotto sul lastrico una intera famiglia, costringendola a vivere in macchina con un figlio disabile al 100%, ha voluto raccontare la sua storia. Il gioco lo ha allontanato dalla sua famiglia. Adesso vive per strada e quando ha qualche soldo in tasca, una parte è sempre destinata al gioco. “Tutto ha avuto inizio quando la mia ex compagna mi ha lasciato. Mi sono catapultato nel mondo del gioco e in un primo momento mi sentivo bene, poi ho iniziato a sprofondare sempre di più. Adesso sono completamente solo. Ho perso sia la famiglia che gli amici. Sono malato, lo so, ma so anche che si può guarire. Ci sono giorni in cui non ho soldi e che non mi viene mai in mente il gioco, ma quando ho 10 euro in tasca, 5 li uso per mangiare gli altri per giocare”. Vito non saprebbe cosa dire alla sua famiglia nel caso in cui volesse chiedere perdono. “Ora come ora se li incontro abbasso lo sguardo perché mi vergogno. So che stanno bene e non farei mai l’errore di ritornare nelle loro vite per rovinarli di nuovo”. Come tutti ben sanno il gioco d’azzardo, nel momento in cui si iniziano a perdere grandi cifre, ti porta ad avvicinarti a persone poco raccomandabili con cui cerchi di rimediare al debito. “Mi sono trovato con alcune agenzie che mi facevano credito. Inizialmente riuscivo a pagare, ma quando non ci sono riuscito, chiedevo i soldi ai miei genitori perché minacciavano di fare del male ai miei cari. Non ho mai pensato di denunciare perché anche io mi trovavo dalla parte del torto. Il vizio del gioco è una droga, ci sono persone che si uccidono. Anziché denunciarle bisognerebbe aiutarle perché sono malate”.
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- di: Raffaele Caruso
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