“Le modalità di tale dazione sono chiaramente dimostrative di pregressi accordi e della conseguente consapevolezza, da parte del Lerario, di ciò che stava ricevendo. Tale aspetto, tutt’altro che secondario, denota da un lato la consapevolezza dell’illiceità della condotta, dall’altro la coscienza e la volontà di mercificare la propria funzione, adottando atti contrari alla legge dietro il corrispettivo di denaro”. È quanto riportato nelle motivazioni della sentenza con cui a marzo scorso l’ex dirigente della Protezione civile pugliese, Mario Lerario, è stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Al termine del processo celebrato con il rito abbreviato è stato condannato anche l’imprenditore Luca Ciro Giovanni Genovese a 4 anni.
Lerario è stato condannato per aver ricevuto una tangente da 10mila euro da Leccese e un’altra da 20mila dall’imprenditore Donato Mottola. “Il sistema posto in essere dal Lerario e avvallato dal Leccese ha creato una vera e propria distorsione della funzione pubblica, ossidando cattive pratiche in virtù delle quali per ottenere gli incarichi si doveva pagare il Direttore – scrive il gip -. Il patto corruttivo stabile e duraturo, alla stregua di un sistema, nel quale spicca il modus operandi del tutto avulso dalle normali condotte di un dirigente pubblico, impegnato in più occasioni in operazioni di bonifica dell’ufficio e dell’auto per evitare intercettazioni. Tali condotte possono in effetti sorgere solo in capo a chi è consapevole di porre in essere delle irregolarità. Una così profonda attenzione finalizzata a eludere eventuali intercettazioni non può che essere valorizzata nel senso di coscienza del disvalore delle proprie condotte, soprattutto se l’epilogo è costituito dalla ricezione di una mazzetta”.