Angelo Rossini, operaio portuale di 51 anni, lascia moglie e due figlie. La sua morte, così come quella di tanti altri operai del nostro ipocrita Bel Paese, si sarebbe potuta evitare se solo fossero state rispettate le più elementari norme di sicurezza sul posto di lavoro.
Lo sciopero di 24 ore proclamato oggi in seguito al decesso, il secondo in due anni, ha il sapore della beffa. Un sapore cattivo, e non ci riferiamo solo all’operaio scomparso dopo essere stato investito da un mezzo di sollevamento impegnato a caricare in retromarcia una nave container della MSC. La terribile notizia, infatti, non l’abbiamo appresa dai tardivi comunicati ufficiali, ma da un collega di Angelo.
Un altro operaio, terrorizzato dall’idea di poter fare la sua stessa fine, ma anche dalla possibilità di ripercussioni nel caso avesse denunciato ai nostri microfoni le condizioni di lavoro quotidiane. L’operatività nel porto di Bari è ad alto rischio per via degli spazi esigui sui piazzali. E questo lo sanno tutti. Più volte i sindacati lo hanno denunciato, ma non è mai stato fatto nulla. Le istituzioni che esprimono solidarietà e vicinanza, sono le stesse che forse non si sono mai interrogate seriamente su quali possano essere le misure più efficaci per evitare tragedie del genere e rendere più sicuro il lavoro portuale.
“Antonio, credimi – dice l’operaio che ci ha contattato – rischiamo tutti i giorni di andare al creatore. Transitare nella zona cosiddetta commerciale è pericoloso. Una giungla senza regole e controlli, senza zone delimitate o corsie di transito dedicate, senza un vero ordine di deposito container o merci sbarcate o in attesa di imbarcare. Vorrei sbagliarmi, ma la morte di Angelo non servirà a niente. Continueremo a lavorare in quel modo e loro verseranno qualche lacrima alla prossima sciagura”.