Emergono nuovi dettagli sull’inchiesta che ha portato all’arresto di 15 persone tra operatori sanitari, infermieri e ausiliari, accusati di maltrattamenti e abusi sessuali nei confronti di 25 pazienti psichiatrici ricoverati nella struttura socio sanitaria Don Uva di Foggia. Sono in totale 30 gli indagati nell’inchiesta, coordinata dalla Procura di Foggia e condotta da carabinieri Nucleo Investigativo e del Nas.
+++IL VIDEO DEI MALTRATTAMENTI+++
Tra le 15 persone arrestate sette sono finiti in carcere (Anna Maria Amodio, Pasquale Andriotta, Angelo Bonfitto, Antonio Melfi, Michele Partipilo, Nicola Scopece e Nicola Antonio Tetribolese), i restanti otto ai domiciliari (Giuseppe Antonucci, Antonio D’Angelo, Savino Giampietro, Martina Pia Longo, Ciro Mucciarone, Salvatore Ricucci, Aldo Rosiello e Rosanna Varanelli). Per altri 15 dipendenti (Rosa Cocomazzi, Aurelio D’Ambrosio, Francesca D’Angelo, Vittorino De Santis, Damiano Di Feo, Gianmarco Pio Gaeta, Lorella Loconte, Antonio Macajone, Antonio Pio Pagliuso, Anna Perrella, Alessandra Sanna, Assunta Santarsiero, Luigi Surgo, Vincenzo Lombardi e Antonio Roberto) è stato disposto invece il divieto di avvicinamento al Don Uva e alle persone offese.
“Ti infilo il coltello nella gola”, “Vattene di qua prima che ti uccido”, “Vuoi vedere che ti spacco la azza in testa”, sono solo alcune delle orribili frasi proferite dagli indagati e riportate dalla giudice nelle carte firmate che hanno portato alle ordinanze di custodia cautelare. C’è chi aveva scoperto, in notevole ritardo, della presenza delle microspie nella struttura. “Dobbiamo stare attenti perché qua non si può più scherzare”, le parole intercettate il 3 agosto scorso. Troppo tardi perché i Carabinieri avevano già raccolto parole e comportamenti disumani tra schiaffi, calci, spintoni e capelli tirati con tanta forza da strapparli. Riprese crude.
Le vittime, 19 donne e 6 uomini, erano incapaci o impossibilitati a difendersi perché in condizioni di inferiorità fisica o psichica. Per questo le accuse sono aggravate dalla crudeltà e dell’aver approfittato dello stato di minorata difesa delle vittime. “Sono stati messi in atto comportamenti reiterati e continui episodi che determinavano significative sofferenze fisiche e morali – si legge nella sentenza -. Angherie, vessazioni, sopraffazioni fisiche e psichiche sono emerse con indubitabile chiarezza dalle intercettazioni ambientali”. Le aggressioni fisiche venivano eseguite anche con l’uso di attrezzi, ma non solo, alcuni pazienti venivano anche legati a letto e chiusi a chiave nelle stanze. Le telecamere hanno anche ripreso palpeggiamenti nei confronti di alcune pazienti, mentre due pazienti sono state indotte ad avere rapporti tra loro davanti agli altri e agli operatori in quello che viene definito “un ignobile teatrino”.