Paolo De Palma è morto, a quanto pare stroncato da un attacco cardiaco alle 2 della scorsa notte. Un “pazzo” imbottito di farmaci a lungo in attesa di una nuova e più sostenibile terapia. Mi pervade una infinita tristezza, un dolore lancinante pur non avendo nulla a che fare con “Cefalo”. Così lo chiamava spesso chi voleva denigrarlo, meglio se pubblicamente. Certo, sgomberiamo il campo, prendersi cura di lui o semplicemente conviverci non era per niente semplice. Ma è con queste persone che bisogna andare oltre, trovare il modo per entrare in relazione.
Paolo non stava bene, non era la sua immaginazione. Un’accurata visita urologica aveva evidenziato un quadro serio, probabilmente critico. Per 11 anni, il lungo periodo in cui Paolo ha fatto uso del catetere, è stato deriso e umiliato. L’ultima volta che si è recato al Pronto Soccorso è stato sottoposto a una visita durata 5 minuti, lasciando increduli gli accompagnatori. Non era la prima volta che quell’uomo maleodorante, trascurato e un po’ strambo chiedeva aiuto e non era la prima volta che qualcuno si girasse dall’altra parte, lo trascurasse come si fa spesso con gli invisibili. In pochissimo tempo abbiamo visto come si consuma la vita di un uomo difficile. Prima la rissa sfiorata coi vicini di casa e un rapporto sull’orlo del baratro, le conoscenze “messe in mezzo” nel tentativo di accelerare la cura, la solita litania del “lo abbiamo in carico”, il trasporto in ospedale, la terapia psichiatrica, il veloce declino e il decesso.
La morte di Paolo è la morte di un sistema fatto di troppe carte, autorizzazioni, inerzie lontane delle esigenze umane, a maggior ragione di quelle degli ultimi. Uomini e donne che, al contrario, hanno bisogno di tempi più rapidi. Non cerchiamo responsabilità, non sappiamo se i familiari decideranno di denunciare formalmente l’accaduto, ma dobbiamo interrogarci sempre. Condivido con voi il pensiero di un parente di Paolo, con il quale abbiamo avuto un battibecco. “Non foste venuti con la telecamera Paolo sarebbe ancora vivo”, questo ci ha detto. Forse ha ragione, ma l’indifferenza può essere la medicina per evitare responsabilità e sensi di colpa? L’appello che rivolgiamo a tutti i soggetti interessati nel sostegno ai più deboli è sempre lo stesso: provate a immedesimarmi, di andare oltre le leggi e di pensare che quei fastidiosi invisibili, quei matti e malati, potrebbero essere i nostri genitori, un fratello, una nonna. Paolo è morto, non rendiamo vana la sua scomparsa e la sua sofferenza.