“Si è ammazzato perché l’ispettore lo maltrattava, lo insultava e lo umiliava, dicendo che a 50 anni era ancora vergine e abitava ancora con la madre. Il carcere di Turi è la merda della merda, per non parlare degli abusi che fanno ad alcuni detenuti”.
È il post pubblicato su Facebook e cancellato poco dopo dal detenuto Michele Martella dopo il suicidio di Umberto Paolillo, l’agente penitenziario che si è tolto la vita nella notte tra il 17 e il 18 febbraio dello scorso anno.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per saperne di più. “Gli appuntati sotto l’ispettore lo prendevano in giro, sono stato testimone di alcuni episodi – racconta -. Lo chiamavano coppetta perché era gobbo, lo facevano ripetutamente. A me dispiaceva e spesso ho litigato”.
“Mi sono terrorizzata, non pensavo che esistessero persone simili e così cattive – spiega mamma Rosanna -. Umberto mi diceva che erano più buoni i detenuti che i colleghi, questa cosa si è avverata. Mio figlio era insultato e non doveva dare conto a nessuno delle sue scelte, ha sofferto per anni ed ecco perché ha deciso poi di togliersi la vita. La verità sta venendo a galla, io non mi fermerò finché non emergerà tutta”.