“Questo è il primo Natale senza il mio Umberto”. Mamma Rosanna non si da pace. Il figlio, Umberto Paolillo, è l’agente penitenziario che lo scorso febbraio si è tolto la vita nella sua auto con la pistola d’ordinanza. “Finché avrò vita tenterò in tutti i modi di fare giustizia. Non devono passarla liscia”.
Rosanna è convinta che dietro al gesto di Umberto ci siano anni di soprusi subiti all’interno del carcere di Turi. “Perché dargli la pistola di ordinanza se fino a che ha lavorato non gli è mai servita? Dicevano che non stava bene, che era esaurito. Se pensavano così di mio figlio, perché il superiore gli ha concesso il ritiro della pistola?”.
Domande a cui Rosanna vuole una risposta. “Sono arrabbiata con lui perché ha deciso di andarsene così, ma lo sono ancora di più perché chi deve pagare non lo ha ancora fatto. Voglio vendetta. Mio figlio è stato spinto a fare quel gesto. Chissà cosa gli hanno detto quel giorno”. Umberto, la mattina del suicidio, era andato negli uffici del carcere per consegnare i documenti che gli servivano per anticipare la pensione e poter assistere suo padre. Secondo Rosanna quel giorno è capitato qualcosa che lo ha talmente tanto esasperato nel convincersi a compiere il gesto estremo.
“Nessuno di loro ha avuto il coraggio di guardarmi negli occhi e di parlarmi. Si sono limitati a darmi dei soldi per il funerale che ho dato in beneficenza perché sporchi di sangue. Tutto ciò che farò lo farò per dare giustizia a mio figlio e a tanti altri come lui che subiscono pressioni e soprusi dai colleghi. Sono sicura che ce ne siano tanti in Italia e non devono fare la stessa cosa che ha fatto il mio Umberto”.