Tempi di attesa troppo lunghi, pazienti sballottati da un ospedale a un altro che alla fine desistono e decidono di tornare a casa con la speranza che non accada nulla di grave. È quanto è capitato a una famiglia barese e alla loro ragazza di 13 anni che, nonostante i forti dolori al costato e agli arti è tornata a casa perché, nonostante le sue condizioni e la sua positività al coronavirus, avrebbe dovuto aspettare 6 ore al Giovanni XXIII e al Policlinico non l’avrebbero accettata perché ancora in età pediatrica.
La denuncia arriva dalla mamma della piccola che esausta da quanto le è capitato ha scritto un lungo post su Facebook rivolgendolo al presidente della Regione, Michele Emiliano, e al sindaco di Bari, Antonio Decaro, con la speranza che il suo racconto possa smuovere le acque di una sanità pubblica che molto spesso fa acqua da tutti i pori.
“Le mie figlie ed io sia positive da 4 giorni, con regolare procedura alla ASL, abbiamo avuto dei sintomi, niente di clamoroso, ma non una passeggiata. Ieri intorno alle 17.30 una delle mie figlie ha inziato a lamentare prima dolori alle gambe, poi alle braccia e alla testa e poi al costato, e scoppia a piangere. Lei è un’agonista non piange mai per il dolore, è abituata a sopportare). Chiamo la pediatra perché ha ancora 13 anni che mi intima dì farla portare dal papà, unico negativo, immediatamente al pronto soccorso, chiedo se fossi obbligata ad andare al Giovanni XIII, e mi risponde che avrei potuto portarla ovunque”.
“La casualità vuole che mio marito resti bloccato su strada e quindi decido dì portarla io in ospedale lasciando mia figlia piccola da sola in casa. Arriviamo al pronto soccorso del Giovanni XIII e mi dicono dì aspettare in auto perché ci sono 7 malati prima di noi e il tempo stimato è di almeno 6 ore. Dopo aver atteso un’ora al freddo, chiamo nuovamente la pediatra che mi consiglia dì rientrare in casa e di monitorarla”.
“Ci rimettiamo in movimento e lei ha nuovamente una crisi; nel panico totale cerco dì trovare ‘la raccomandazione’ in qualsiasi pronto soccorso per farla visitare. Su consiglio di un’amica medico ci spostiamo al Policlinico perché l’avrebbero accettata e controllata. Arriviamo in ospedale e 4 guardie diverse ci danno 4 indicazioni differenti, alla fine (senza scendere dall’auto) ci fanno andare nel hangar delle autoambulanze, qualcuno sarebbe arrivato ad aiutarci. Passano 20 minuti e si affaccia un infermiere che ci dice che saremmo dovuti andare al reparto covid, parcheggiando l’auto ad almeno 800m dallo stesso, avevo segnalato allo stesso che la ragazza non stava bene. Arriviamo finalmente al reparto e prima un sedicente infermiere mi dice che l’avrei dovuta lasciare da sola per tutta la notte per farle i controlli, logicamente ho detto che sarebbe potuta rimanere da sola tutto il tempo necessario, lo stesso riporta le mie volontà alla dottoressa, che non è mai uscita dalla sua stanze, e poi ci rimanda all’ospedaletto perché mia figlia non può essere visitata per età al Policlinico. Dopo aver espresso il mio disappunto in maniera troppo elegante, ho deciso di portare la ragazza a casa, con le fitte che continuano”.
“Per fortuna questa notte non è successo nulla, ma se mia figlia si fosse aggravata, quante denunce avrei dovuto fare? Paghiamo le tasse fino all’ultimo centesimo e per una volta nella mia vita in cui ho avuto bisogno della sanità pubblica non ho potuto usufruirne”.