Una mattina ti svegli e ti ritrovi immischiato in episodi datati 11 anni fa, senza avere memoria delle persone coinvolte e dei fatti contestati. Protagonista della vicenda è il pugile professionista barese Francesco Lezzi, raggiunto come altre 72 persone da un ordinanza di custodia cautelare con le pesanti accuse di estorsione e usura, aggravati dal metodo mafioso. Misure rigettate dal Gip, contro cui la Procura ha fatto appello. Troppo datati gli episodi contestati nell’indagine partita nel 2016. In sostanza, secondo il Giudice per le Indagini Preliminari è “assente in concreto, per difetto di attualità e concretezza, il pericolo di reiterazione dei reati prospettato quale unica esigenza a fondamento della richiesta di misura cautelare”. La Procura, invece, evidenzia che “le esigenze cautelari vanno parametrate alla commissione di reati della stessa specie e non in relazione allo stesso reato”.
A far scattare l’indagine dell’epoca fu un tabaccaio, titolare della licenza 266, a sua volta arrestato per usura e poi pentitosi. Nella fattispecie l’uomo accusa Lezzi di averlo minacciato psicologicamente, anche attraverso pedinamenti oltre che di averlo malmenato. “Non conosco chi mi ha denunciato – dice amareggiato il pugile -, e neppure conosco le persone con le quali dice io abbia operato. Una vicenda assurda, che mi riporta indietro nel tempo, al periodo compreso tra aprile e novembre 2013”.
Lezzi respinge con forza le accuse che gli vengono mosse. “Leggere il mio nome nell’inchiesta è stato un colpo basso – continua -. Da ragazzino ho combinato qualche bravata, ma non sono mai stato un ragazzo di strada, addirittura affiliato a un clan, tantomeno agli Strisciuglio così come viene scritto. Ho avuto e ho alle spalle una famiglia per bene, che ha sempre fatto di tutto per farmi rigare dritto. Attraverso il pugilato ho trovato il mio riscatto umano e sociale. Mi sono allenato tutti i giorni e le decine di incontri che ho fatto testimoniano ciò che sono diventato, insegno ai bambini a boxare e il mio sogno è quello di dedicarmi a questa attività in futuro. Mi accusano di essere un estortore, sono figlio di due commercianti non avrei mai potuto anche solo per questa ragione”. Nell’inchiesta sono coinvolti, a vario titolo, decine di nomi della criminalità barese, affiliati a clan trasversali operanti in diversi quartieri della città.
“Non vorrei fossi una risposta, per la verità tardiva – chiude l’avvocato Nino Laforgia – ai fatti di sangue avvenuti recentemente a Bari, un modo particolare per rimarcare la presenza dello Stato. In ogni caso Francesco Lezzi, che assisto da una vita, è completamente estraneo ai fatti e saprà dimostrarlo in ogni sede”.