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Cataldo: “Maurodinoia e io separati da due anni”. La tesi del complotto e il giallo del video sulla pen drive

9 Aprile 2024
– Autore: Redazione Quinto Potere
9 Aprile 2024
– Autore: Redazione Quinto Potere

Alessandro Cataldo, marito dell’ex assessora regionale ai Trasporti Anita Maurodinoia, finito ai domiciliari giovedì scorso e considerato il presunto ideatore del sistema di compravendita di voti utilizzato in occasione delle Regionali 2020 e delle Comunali di Bari, Grumo e Triggiano, ha respinto tutte le accuse e ha negato tutto nell’interrogatorio di garanzia che si è tenuto ieri.

Cataldo ha dichiarato di essersi separato dalla Maurodinoia due anni fa e ha sostenuto di essere vittima di un complotto ideato dal finanziere Leone (nel 2015 è finito ai domiciliari con l’accusa di aver tentato di estorcere soldi a Cataldo) e dal suo ex braccio destro, Armando De Francesco, non rieletto al Municipio nel 2019. Durante la perquisizione effettuata al momento dell’arresto, i Carabinieri hanno trovato in una borsa di pelle una pen drive usb. All’interno un video, già trascritto in formato professionale, di un colloquio tenuto il 12 marzo tra lo stesso Cataldo e Armando De Francesco. L’ex consigliere municipale di Bari rivela di essersi pentito per averlo messo nei guai, visto che dalle dichiarazioni rilasciato al maresciallo Leone è nata poi l’indagine. Cataldo si è presentato all’incontro microfonato, dopo essersi rivolto ad un investigatore privato di Bari, e ha registrato tutto.

“Nelle scorse settimane mi stavo occupando delle primarie del centrosinistra di Bari e De Francesco mi chiamava con insistenza dicendo di non fidarmi di uno dei miei interlocutori. Alla fine gli ho chiesto di incontrarci per spiegarmi cosa intendesse dire, e l’ho registrato”, la ricostruzione di Cataldo. Per la Procura si tratta di un depistaggio, la tesi della difesa invece è che sia vittima di un complotto ingegnato per metterlo fuori dai giochi.

Su Armando Defrancesco, al termine dell’interrogatorio di garanzia, l’avvocato di Cataldo, Mario Malcangi, ha detto che si tratta di “un soggetto su cui va fatta una ponderata valutazione”, e che comunque “si è sempre rifiutato di rendere dichiarazioni alla Guardia di Finanza”. “È tutto nato da una suggestione investigativa – ha aggiunto poi il legale -. Ha negato il pagamento di 50 euro a voto. I problemi di corruzione elettorale sono documentati, ma non sono in alcun modo ascrivibili né fanno capo a lui. Era il coordinatore della campagna elettorale, ma le ipotesi criminose non sono ascrivibili a lui. Capisco la suggestione di credere che un sistema politico di porta a porta e telefonate sottenda un comportamento illecito – ha aggiunto il legale -, eticamente la cosa può essere non compresa dai più”, ma non “sottende illeciti”.

Quanto agli elenchi con i dati degli elettori, Malcangi ha spiegato che sono “tipici delle campagne elettorali per tenere sotto controllo il territorio nel senso migliore del termine, per verificare che tutte le possibilità di voto siano state approfondite. Confidiamo – ha aggiunto – di poter chiarire le cose, anche se ci vorrà di tempo”. La difesa ha chiesto l’attenuazione della misura cautelare.