C’era una volta una città incantata dal nome Irab, bagnata dal mare e sfavillante di luci. Il capo del piccolo regno in cui vigevano regole diverse da quelle a cui si ispirava il distretto di Ailgup, nella nazione denominata Ailati, decise di festeggiare il cosiddetto “Capodanno all’uso”. In quel periodo erano vietati tutti i festeggiamenti, persino quelli tra clan familiari, ma il capo di Irab aveva dato la parola e trovato i fondi da destinare alla festa.
Il presidente del distretto non era d’accordo, ma nulla poté per evitare la decisione, osteggiata da quasi tutti i sudditi di Irab e persino dagli scribi e dai consigliere del sommo sinedrio. Per l’occasione fu montato un grande palco all’aperto, ma si ritenne che i festeggiamenti dovessero tenersi al chiuso e quindi monta il palco, smonta il palco. Il periodo nel piccolo regno non era felice. Uno stormo di draghi indemoniati aleggiava nei cieli, oscurando il sole e scatenando una terribile malattia, confusa da molti come una normale influenza. Il mago del regno, l’astuto Cavinoc, aveva elaborato un antidoto, ma non era ancora particolarmente efficace.
Il giorno della festa si avvicinava e fu subito corsa alla poltrona del meraviglioso teatro Rosso. In tanti volevano partecipare all’evento ripreso in diretta e condotto dalla meravigliosa principessa della televisione Margherita Nicupacci. In pochi minuti i posti furono esauriti, tant’è che alcuni pensarono che il marchese della vicina Tobinet, avesse tramato per boicottare la serata di gala. L’ansia cresceva, il capo di Irab taceva fino alla mezzanotte dell’anno del regno. Fece gli auguri e si disse soddisfatto dello spettacolo offerto agli amici di corte.
Il teatro Rosso era pronto a trasformarsi in un’enorme discoteca – seppure a quei tempi le discoteche vere e proprie non esistevano ancora -. Mani al cielo, balli in piedi e persino un lungo trenino della felicità , il modo scelto da alcune guardie di corte per portare un poco di gioia in quel tempo cupo e pieno di rinunce e divieti, per molti ma non per tutti. Nel regno di Irab, lo abbiamo già detto, vigeva la cosiddetta legge ad capocchiam, ricavata dal libro dei membri di segugio, così gli unici a essere puniti per quella fila indiana demoniaca furono le guardie di corte, come se non ci fossero altri colpevoli e se lo stesso capo di Irab con quella scelta non avesse causato la gaiezza vietata, contro le leggi di Ailgup e della nazione di Ailati.
Il Tribunale di Irab multò le guardie e lo comunicò a tutta la popolazione perché colpirne uno ha sempre significato evitare guai peggiori, ma i giudici a tempo non si accorsero dei resti proibiti di cibo e bevande lasciati all’interno del teatro Rosso. La leggenda di Irab e del trenino magico racconta che il gestore del contenitore del politeama s’infuriò alla vista di video e foto di tavole apparecchiate e lievi bagordi. A tale vista ordinò dunque l’immediata sospensione dei festeggiamenti vietati.
Solo in quel modo il capo di Irab riuscì a salvarsi e la popolazione del piccolo regno al confine con la terra di mezzo evitò punizioni corporali che avrebbero potuto sterminare i macchinisti e capitreno di quel lungo serpentone. E vissero tutti, o quasi, felici e contenti. La leggenda, tramandata di padre in figlio, ha una morale: c’è un tempo per festeggiare, un tempo per tacere e un altro per pagare le responsabilità dei propri errori, ma non nel piccolo regno di Irab.