Torniamo a parlare dell’operazione del Comando Provinciale Carabinieri di Bari e del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro (NIL) di Bari che nella giornata di ieri hanno eseguito un provvedimento emesso dal GIP del Tribunale di Bari con il quale è stata disposta la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di due persone, un uomo ed una donna, ritenute responsabili del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. L’attività investigativa, denominata convenzionalmente “Caporalis”, ha interessato la campagna agricola nel periodo maggio-luglio 2021, nonché l’attualizzazione delle due posizioni al termine dell’indagine nel mese di giugno 2023. Nel corso dell’attività è stato possibile accertare l’esistenza di una struttura ben articolata di soggetti che, in concorso tra loro, operando nei comuni di Cassano Murge, Turi, Acquaviva Delle Fonti e Rutigliano, reclutavano ed impiegavano manodopera mediante l’attività di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il tutto in violazione delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Tra i 12 indagati, a cui sono stati notificati gli avvisi di garanzia, c’è anche Martino Mazzone, marito della sindaca di Turi, Tina Resta. Gli altri 10 sono Saverio Annese, Stefano Topputi, Stefano Atene, Francesco Ruospo, Antonio Palmisano, Donato Lozupone, Antonio Pontrelli, Domenica Coppi, Vincenzo D’Aprile, Pasquita Martinelli, Donato Ventrelli. In carcere sono finiti Maria De Villi e Vito Stefano De Mattia (entrambi baresi di 59 e 53 anni), come riportato da La Repubblica. Sono 68 i braccianti individuati come parti offese, 66 dei quali italiani. De Villi e De Mattia sono finiti in cella perché secondo il giudice sono “navigati nel settore agricolo e dispongono di un’ampia rete di contatti tra imprenditori attivi nel settore” e per questo potrebbero inquinare le prove. “Ho accettato una paga così bassa perché avevo bisogno di soldi, ero costretta ad accettare qualsiasi condizione pur di sostenermi”, racconta una giovane bracciante. “Tra l’altro le loro figure mi spaventavano, in più occasioni mi avevano riferito che il figlio di Maria apparteneva al clan Parisi”, la testimonianza di un altro lavoratore.
Le articolate indagini poste in essere dall’Arma di Cassano delle Murge (BA) e dal Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro (NIL) di Bari, condotte mediante servizi di osservazione, controllo e pedinamento e per mezzo di attività tecniche, supportate, inoltre, da dichiarazioni di lavoratori, trae origine proprio dalle denunce delle vittime, in particolare quella presentata presso il Comando di Cassano delle Murge da una donna oggetto di sfruttamento da parte dei destinatari dell’odierna misura restrittiva. Successivamente alla denuncia, si sono avviate le attività tecniche e gli accertamenti sul campo, corroborate da copiose verifiche documentali, centinaia di riscontri telematici sulle banche dati delle FF.PP. e dell’INPS, accessi ispettivi nelle aziende, controllo dei datori di lavoro ed escussione della manodopera sfruttata. I lavoratori a nero erano reclutati dai “caporali” al fine di essere sottoposti a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno, ricorrendo alla reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali e territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali o comunque sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato. Gli stessi lavoratori sono stati minacciati dai “caporali”, i quali si vantavano di essere imparentati a soggetti affiliati a noti clan camorristici di Bari. La manodopera veniva sottopagata, circa 4,60 € l’ora a fronte dei circa 11 € previsti per legge). È stato anche accertato che 25 lavoratori impiegati in nero, erano percettori di reddito di cittadinanza.