Skip to content

Mafia a Bari, Palermiti Jr in lacrime nell’interrogatorio fiume: confessa due omicidi e chiede scusa alle Istituzioni

4 Maggio 2024
– Autore: Redazione Quinto Potere
4 Maggio 2024
– Autore: Redazione Quinto Potere

Giovanni Palermiti, figlio del boss e capoclan Eugenio, lo scorso 29 gennaio è stato interrogato dai pm Fabio Buquicchio, Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano nel carcere di Secondigliano dove attualmente è detenuto e sta scontando la condanna all’ergastolo per l’omicidio Rafaschieri, avvenuto il 24 settembre 2018 a Carbonara. È stato lui stesso a chiederlo. Un colloquio di 7 ore in cui Giovanni ha confessato gli omicidi di Nicola De Santis e di Walter Rafaschieri, negando però di aver partecipato agli affari illeciti del clan. Non sono mancanti gli attimi di tensione, Palermiti Jr è infatti scoppiato in lacrime e ha chiesto scusa alle Istituzioni.

Tutto è cambiato il 6 marzo 2017 quando fu assassinato Giuseppe Gelao a poca distanza dalla casa del padre. Nell’agguato rimase ferito anche il cugino Antonino Palermiti. “Non faccio parte di questa organizzazione criminale, io non sono affiliato, so cosa vuol dire ma sono sempre stato fuori da tutto. Ho sentito parlare di queste affiliazioni, di queste cose qua, ma io non sono affiliato a nessuno – le parole riportate da La Gazzetta del Mezzogiorno -. Mio padre mi ha sempre tenuto fuori da tutto. Non so perché i collaboratori di giustizia dicono che sono affiliato, questo non è vero. Da quando sono successi i fatti di Antonino, l’omicidio di Gelao e il suo ferimento, molti mi hanno visto nel quartiere e per questo dicono che sono affiliato, ma io lavoravo alla macelleria. Io mi sono trovato coinvolto nel 2017 in tutto questo casino qua. Solo in quell’anno è successo, diciamo quello che è successo, però io negli anni indietro sono stato sempre fuori da tutto, io stavo alla macelleria”.

“Uno è sempre Palermiti. Io purtroppo ho conosciuto mio padre che ero piccolino, mio padre stava in carcere, io sono nato in quella famiglia purtroppo. Non è che i genitori si scelgono, sono stato sempre fuori ma alla fine il vortice ti tira sempre dentro. E purtroppo io alla fine sono stato risucchiato in questo vortice – le altre parole riportate sempre da La Gazzetta del Mezzogirono -. Cioè, sono stato sempre lontano e mi sono trovato per una cosa gravissima in galera, perché alla fine non e che io rubavo, facevo estorsioni o spacciavo. No! Io mi sono trovato da quel giorno che hanno sparato a mio cugino, hanno sparato a casa di mio padre. In quegli attimi era accaduto qualcosa in strada, nel senso che vidi Giuseppe Gelao a terra, due motori a terra. Ho sentito in quei frangenti alcuni colpi di pistola. Sono scappato a casa di mio padre e anche lui era stato interessato da alcuni colpi di pistola sulle vetrate, tanto è che mio padre era intenzionato a distruggere i vetri con un martello per non lasciare traccia. Quella sera decido di restare a casa di mio padre perché avevo paura, perché io, per pochi minuti, non mi ero trovato coinvolto in quella sparatoria. In poche parole, io quel giorno io sono morto due volte, cioè sono salvo due volte quel giorno. Ero convinto che io potevo essere il loro obiettivo. Milella era certo che noi rischiavamo un agguato simile a quello accaduto a Gelao. E mi convinse che era una questione di vita o di morte, cioè che bisognava eliminare Busco, sennò Busco ci doveva uccidere. Milella mi diceva che questo mi voleva uccidere, cioè che io dovevo essere ucciso, in poche parole. Lui diceva che questi mi volevano uccidere a me, avevano sparato a mio cugino e dovevano uccidere a me, dovevano uccidere a mio padre, che mi ero scansato l’agguato, mi aveva convinto, io ero sicuro che dovevo essere ucciso da questi qua. Via radio Milella venne avvisato della presenza di un uomo e noi scendemmo le scale con delle maschere, raggiungemmo una alfa 147 bianca, faccio inversione e vediamo due motori, con a bordo due persone su un motore ed una persona sull’altro motore. Ci affianchiamo su via Archimede, Filippo Mineccia spara una raffica con il kalashnikov, nel frattempo riceviamo la segnalazione che Busco era sulla Honda Integra, io e Mimmo sparammo e colpimmo delle macchine. L’intento era di eliminare Busco. Io sparai tutto il caricature. Mentre scappammo ci ritrovammo davanti De Santis e Mineccia, avendo terminato i colpi con il kalashnikov, lo sparò con la pistola. Io non avevo alternativa rispetto a quell’azione omicidiaria, presi la macchina blindata, perché temevo che mi succedeva qualcosa”.