Dopo aver denunciato le drammatiche condizioni in cui Michelina viveva tra gli scarafaggi è iniziato uno stucchevole scarica barile fra istituzioni. L’assessore alle Politiche sociali del comune di Adelfia punta il dito contro l’amministratore di sostegno, mentre l’avvocato accusa l’amministrazione comunale. Entrambi, invece, denunciano la mancanza di sinergia tra enti preposti, chiamando in causa il Serd. La verità è che in più di 50 anni di degrado e segnalazioni, nessuno è mai entrato a casa della donna, nemmeno quando, già all’età di 16 anni, i genitori legavano Michelina a un’albero del giardino, facendola vivere come un cane.
Nei giorni scorsi l’amministratore di Michelina aveva eluso le nostre domande. Approfittando dell’inizio dei lavori di ristrutturazione, abbiamo provato a sentire nuovamente l’amministratore di sostegno. Lo incontriamo mentre sta uscendo dall’abitazione in compagnia di un uomo. È passata a sovrintendere l’intervento a casa di Michelina. “Stiamo procedendo molto rapidamente se lei non intralcia il sistema”, sono le sue prime parole. Stiamo per strada e non intralciamo nessuno. L’amministratore di sostegno è stato nominato nel 2019, più di 3 anni dall’8 agosto scorso, giorno in cui lo stesso avvocato ha ammesso di essere entrato nell’abitazione per la prima volta.
“Michelina adesso si fida di me – spiega il legale -. Ci sono voluti due anni per ottenere la sua fiducia”. Non lo mettiamo in dubbio, ci mancherebbe. Noi, rispondendo al disperato appello di una donna chiamata da Michelina a darle una mano, siamo riusciti a farci accogliere in poco mendo di 15 minuti. Ed è stata la stessa Michelina a farci entrare. Ma è un altro discorso. La storia di Michelina dimostra ancora una volta che non ha senso nominare un amministratore di sostegno se questo non può entrare in casa perché la persona in carico non acconsente. Com’è possibile giudicare se le condizioni di vita sono degne o meno non potendo vederle coi propri occhi?
“Ho scritto mail e pec, ma non siamo riusciti a entrare nemmeno con l’intervento delle Forze dell’Ordine”, continua l’amministratore. Non ne dubitiamo, ma il problema sta tutto lì. Se a causa di quelle condizioni igienico sanitarie disastrose o per altri motivi legati ai problemi psichici Michelina fosse morta di chi sarebbe stata la responsabilità? “Se non hai la possibilità di operare hai le spalle al muro”, continua l’uomo che l’accompagna, evidentemente professionista anche lui. Una situazione tesa, in cui appare chiaro che nessuno vuole farsi carico di responsabilità addossate ad altri.
“Stia attento a come fa le interviste – dice l’avvocato prima di congedarsi -, lei mi accusa. Farò quello che riterrò più opportuno, lei mi deve fare solo lavorare”. E noi la facciamo lavorare, dandoci appuntamento a tra una ventina di giorni, anche se il concetto di celermente può essere attribuito solo all’esecuzione dei lavori, iniziati più tre anni dopo la nomina ad amministratore di sostegno. Al netto di tutte le mail e pec inviate a chiunque, resta – è questo il nostro scopo – la denuncia sull’inefficienza del sistema, non solo per il caso di Michelina.
Abbiamo toccato più volte con mano la disperazione trascurata di molte persone. Una disperazione su cui si è riusciti a intervenire in maniera risoluta dopo l’intervento delle telecamere e in tutti i casi solo per incredibili coincidenze. La cosa che ci consola è sapere che Michelina ora è accudita, che potrà contare su una casa dignitosa, con la speranza riesca ad abituarsi al nuovo stile di vita. In fondo lei in quella discarica aveva trovato il suo equilibrio. Convinti di dover continuare a tenere accesi i riflettori sulla vicenda, restiamo a disposizioni di tutte le istituzioni interessate (amministratore di sostegno, assistenti sociali, amministrazione comunale, serd per citarne alcune), nel caso volessero ulteriormente precisare o spiegare come sia stato possibile far ridurre una donna in quelle condizioni pietose, senza che nessuno abbia potuto fare niente perché finora non c’è stato qualcuno che abbia trovato il modo per entrare in quella casa galera.