Condannato un agente penitenziario per minacce nei confronti di un giornalista di Quinto Potere. Diciamolo subito, si tratta di decreto penale di condanna con pena sospesa, pertanto l’imputato può appellarsi la sentenza. Non lo facesse entro i 60 giorni previsti dalla legge, diventerebbe definitiva. Ma andiamo con ordine. È bastato un servizio di Quinto Potere, sulla presunta violenza di un uomo sulla ex moglie, per scatenare l’ira del protagonista delle accuse, un agente della Polizia Penitenziaria presso il carcere di Turi. L’uomo, come si legge in alcune conversazioni, ritiene colpevole un giornalista della testata diretta da Antonio Loconte.
Secondo l’agente, quel servizio non doveva essere pubblicato e per tali ragioni ha cominciato man mano a minacciare il giornalista, con frasi del tipo “Sarò la tua ombra”; “Stai attento che per morire basta un nonnulla”. Fatti che hanno costretto il giornalista in questione a denunciare tutto alla Polizia a marzo scorso. A luglio arriva il decreto penale di condanna nei confronti dell’agente, colpevole di minaccia.
Aldilà dei fatti contestati in sentenza, rivolgiamo alcune domande al direttore e al comandante del carcere di Turi. Cosa intendono fare? Hanno in mente di aprire un procedimento disciplinare?
La questione non è di poco conto. L’agente è una persona che potrebbe utilizzare l’arma di servizio anche fuori dal carcere, cosa che accadde purtroppo al povero Umberto Paolillo, ex agente di Polizia penitenziaria morto suicida a febbraio del 2021, quando, portando via dalle mura del carcere l’arma di ordinanza decise di compiere l’estremo gesto. Sulle modalità di consegna della pistola d’ordinanza a Paolillo ci sono ancora diversi punti oscuri.
È pacifico che la preoccupazione del giornalista, vittima della minaccia (compreso quella di morte), sia massima. In attesa di risposte a questi interrogativi, rimaniamo a completa disposizione di chiunque si senta tirato in ballo nella vicenda.