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Morte Mattia Giani, il fratello di Alessandro Lobuono: “Fenomeno in tragico aumento bisogna sensibilizzare”

22 Aprile 2024
– Autore: Raffaele Caruso
22 Aprile 2024
– Autore: Raffaele Caruso

“Sono il fratello, un ragazzo di 29 anni che il giorno 04/04/2019 è deceduto al termine di una partita di calcio in seguito ad un arresto cardio-circolatorio. Vi scrivo, sperando di ottenere un vostro riscontro, sull’onda emotiva generata dalla tragica scomparsa, avvenuta nei giorni scorsi, del giovane Mattia Giani in circostanze analoghe a quelle che hanno coinvolto mio fratello nel 2019”. Mattia Giani è il calciatore 26enne del Castelfiorentino che domenica 14 aprile ha avuto un malore durante una partita con il Lanciotto ed è deceduto il lunedì seguente nell’ospedale di Careggi. Vi proponiamo la lettera inviata alla nostra redazione da Claudio Lobuono, fratello di Alessandro Lobuono, giovane tragicamente scomparso durante una competizione calcistica dilettantistica all’interno di una struttura oratoriale in provincia di Monza e Brianza.

“In seguito ai fatti, sono emerse molte testimonianze contrastanti con i fatti, gravi inefficienze della società sportiva/struttura ospitante (che non era in possesso del defibrillatore) ed un mancato rispetto dei protocolli operativi da parte degli organi preposti alla tutela sanitaria. Tali prove sono state raccolte e rilevate da noi e dai nostri avvocati in una serie di indagini difensive durate più di un anno. Questo ci portato successivamente ad depositare una denuncia per omicidio colposo ai danni di vari soggetti trai quali società sportiva e 118. Denuncia che poi, dopo un iter di indagini a dir poco scandaloso senza alcun tipo di approfondimento sui luoghi dei fatti è stata archiviata in modo lapidario senza lo svolgimento di alcuna indagine con la giustificazione del ‘tanto sarebbe morto comunque’. Oggi a distanza di 5 anni stiamo ancora combattendo legalmente per cercare di fare riaprire il processo. – si legge nella lettera -. Mi sono permesso di scrivervi in quanto ritengo che un caso come questo, che vede coinvolte realtà molto influenti, possa essere di interesse per la redazione ma soprattutto possa ritenersi ad ampio titolo di estrema rilevanza sociale. Come si è tristemente dimostrato in questi ultimi giorni il nostro non è stato un caso isolato. Come famiglia stiamo gradualmente sviluppando un progetto chiamato ‘caduti sul campo’(www.cadutisulcampo.it) volto a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento delle ‘morti in campo’ nel panorama dello sport dilettantistico in Italia dove il fenomeno delle morti tra i giovani e in tragico aumento. La nostra speranza è che qualcuno prima o poi possa dare la meritata visibilità mediatica all’argomento”.

“In questi anni molto difficili, grazie al nostro doloroso percorso, abbiamo maturato una grande conoscenza di questo mondo entrando a fondo nei vari aspetti, molti dei quali oscuri, che lo costituiscono. La nostra speranza è quella di riuscire a creare un punto di riferimento per la collettività con il quale chiedere una sostanziale modifica alle attuali leggi in materia di prevenzione delle morti durante le attività sportive e dei controlli molto più stringenti sull’operato degli enti organizzatori, nonché delle società sportive e delle strutture ospitanti (praticamente quasi tutte di proprietà della chiesa) – aggiunge -. Quello che le posso dirvi, per provare a destare il vostro interesse sulla questione, è che abbiamo migliaia di pagine di documentazione (legale, medica, medico legale e numerose prove documentali) che, con i mezzi che con gli adeguati mezzi, potrebbero fare tremare, se non abbattere quella che è la struttura medico/sportiva che oggi opera la ‘catena della sopravvivenza’ scoperchiando un vaso di Pandora praticamente senza fondo. Prove su cui la magistratura, almeno nel nostro caso specifico, non ha mai voluto indagare seppellendo ovviamente, sin dall’inizio, il nostro caso in modo lapidario. Come famiglia quindi stiamo cercando di far sì che la nostra esperienza possa essere d’aiuto a tutte le famiglie che in futuro, e non saranno poche considerando i numeri del fenomeno, si troveranno in questa triste situazione sia dal punto psicologico ma soprattutto legale”.