Al buio, nel fango, con l’idea di morire soffocato da un momento all’altro. Il calvario di Nicola Bisceglie, residente in un container nelle campagne di Gravina continua nel silenzio generale delle istituzioni. I nostri appelli, iniziati il 25 luglio, rilanciati il 14 settembre e l’11 ottobre scorsi, sono caduti nel vuoto. Non si è fatto avanti nessuno dei rappresentanti istituzionali invocati a settimane alterne. Nessuna risposta dal primo cittadino di Gravina, Fedele Lagreca; dal direttore generale della Asl Bari, Antonio Sanguedolce; dal coordinatore del 118, primario del pronto soccorso dell’ospedale Perinei e direttore del dipartimento dell’emergenza-urgenza della Asl Bari, Antonio Dibello. Tutto tace, mentre Nicola continua a chiamare il 118 a causa dell’ormai inutile traceheotomia, a cui fu sottoposto un paio d’anni fa in seguito a un incidente stradale.
Ieri sera uno dei medici del 118 inviato sul posto, Francesco Papappicco, ci ha inviato l’ennesima testimonianza. Le bestemmie, il fiato corto, la tosse sono rimasti in testa a tutti, tranne a quanti potrebbero effettivamente alleviare le sofferenze di Nicola. Una serie inaudita di guai e una condizione di vita precaria, superabili se solo Nicola fosse sottoposto a un intervento chirurgico per la rimozione del tessuto di neoformazione flottante, come tra l’altro scritto nel referto medico. Insomma, se qualcuno sottoponesse Nicola a tutti gli accertamenti e fissasse l’operazione per la “chiusura di quel maledettissimo buco” nella trachea, di cui pare non abbia più bisogno, l’uomo potrebbe tornare ad avere una vita pressoché normale e gli equipaggi del 118 non sarebbero più costretti a correre in campagna, lasciando scoperti di volta in volta i territori di Altamura, Gravina, Spinazzola e Poggiorsini.
La tracheotomia non solo pare sia inutile, ma adesso è persino dannosa. Non contando il fatto che all’uomo non sono state fornite le cannule di ricambio e l’aspiratore per tracheotomizzati. È vero, Nicola non vuole lasciare più di un giorno il suo terreno, dove alleva anche alcuni animali, ma nel corso del tempo c’è stato pure chi si è fatto avanti per badare alle sue cose giusto il tempo necessario. Neppure la ritrovata volontà dell’uomo è riuscita a convincere i burocrati a intervenire. Fino alla prossima chiamata va avanti tutto nello stesso modo, con la speranza di non ritrovarlo cadavere, perché magari è rimasto soffocato o è caduto nel container buio. Nel frattempo gli equipaggi del 118 impiegano continuamente i kit di aspirazione (sacche monouso e sondini), andando in affanno nel caso di reali urgenze. Insomma, la storia di Nicola Bisceglie è l’emblema di quanto si possa complicare inutilmente la vita di un’intera comunità non risolvendo i problemi di salute di un solo uomo.