“Di Giacomo doveva pagare per quello di cui veniva accusato. Doveva pagare per aver rovinato la salute della figlia, per averle inferto una serie infinita di sofferenze, per averla resa invalida, per aver costretto la famiglia ad affrontare ingenti spese necessarie per le terapie e per sostenere l’azione giudiziaria intrapresa. Doveva pagare per non volersi piegare alle pretese economiche rivendicate a titolo di risarcimento”. Questa è la ricostruzione del gip sull’omicidio di Mauro Di Giacomo, il fisioterapista ucciso a Poggiofranco il 18 dicembre scorso sotto la sua abitazione. Nella giornata di ieri, a distanza di mesi, è stato arrestato Salvatore Vassalli, 59enne operaio incensurato di Canosa.
“Spietato, freddo, feroce, risoluto e cattivo”, così viene descritto l’uomo. “Una deliberazione di morte” quella di Vassalli e non un impeto improvviso. Alla base della triste vicenda la causa civile dinanzi al Tribunale di Trani. Protagonista una delle figlie di Vassalli, Ornella, che aveva chiesto un risarcimento economico per danni permanenti di natura fisica e psichica fino ad un massimo di 45mila euro. Il 5 settembre 2019 la donna, che lavora come insegnante di arti pittoriche, si reca da Di Giacomo per una seduta e per la manipolazione del rachide del tratto cervicale. Dopo l’intervento lamenta dolori, un altro specialista parla di un grosso colpo di frusta e di uno shock midollare. Lei porta in aula Di Giacomo rivendicando un’invalidità pari al 30 per cento, il consulente nominato dal Tribunale ridimensiona il danno biologico al 3-4 per cento.
La famiglia della donna vuole giustizia, lamentando le conseguenze di natura psicologica inflitte e le spese sostenute, pari a 10mila euro, per le continue trasferte e visite. La stessa figlia di Vassalli viene convocata dalla Polizia dopo l’omicidio, ma sulla causa in corso non fornisce tante dichiarazioni, rimanendo molto vaga. Dice di non sentirsi coinvolta emotivamente, anche se la sua ricostruzione viene smentita dalle intercettazioni con il suo legale di fiducia una settimana dopo l’omicidio. Tra padre e figlia c’è un “rapporto simbiotico, caratterizzato da un sentimento di morbosa protezione nutrito dal padre, letteralmente asservito alle esigenze e ai desideri della figlia”, si legge nelle carte. Da qui la decisione dell’uomo di vendicarla. Il 24 dicembre entrambi sono in auto e si parla dell’omicidio. “No, non sono stato io. Ma che è? Mica…”, le frasi intercettate.