Dopo 21 anni e aver scontato la condanna definitiva a 17 anni per concorso nell’omicidio di Michele Fazio, è tornato libero Raffaele Capriati, detto Lello, figlio di Sabino e nipote di Tonino, storico boss di Bari vecchia. Lello Capriati ha scontato 17 anni per l’omicidio di Michele, avvenuto tra i vicoli del borgo antico, il 12 luglio 2001. In quel periodo da mesi era in corso la guerra tra i clan Capriati e Strisciuglio. Quella sera rimase ucciso il ragazzo innocente, garzone di un bar che stava rientrando a casa.
La libertà di Lello, che riaccende l’attenzione degli inquirenti sul clan, è stata prima “celebrata” su Tik Tok dalla moglie e da altri familiari, poi festeggiata con fuochi d’artificio in una delle piazze principali di Bari vecchia, a pochi metri dal commissariato di Polizia e dalla casa dei genitori di Michele.
L’uscita dal carcere di Lello ora riapre la strada a molte possibilità e rialza l’attenzione degli inquirenti sul clan. Le indagini, in realtà, non si sono mai fermate e si arricchiscono, di volta in volta, con gli episodi di cronaca. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, lo spaccio di droga nel centro storico sarebbe in questo momento di totale appannaggio del clan Capriati, gestito per la maggior parte da un giovanissimo e rampante rappresentante della storica famiglia barese. L’uscita di Lello dal carcere potrebbe sottrargli spazio o, in alternativa, rafforzarne la quasi egemonia sul territorio. Il giovane, raccontano gli atti investigativi, ha un esercito di ragazzi al suo seguito, pronti a sparare per difenderlo e abili pusher nella vendita capillare e ramificata di hashish e marijuana.
Secondo gli investigatori, un’altra fetta di spaccio sarebbe invece appannaggio dei Larizzi, con base operativa nei pressi della Cattedrale e con clientela di altro genere: professionisti ed esponenti dell’alta borghesia barese si approvvigionerebbero da loro di cocaina. Ma l’apertura della cella per Lello Capriati preoccupa gli inquirenti anche per un altro motivo: il 21 novembre 2018 al quartiere Japigia di Bari, mentre rientrava a casa, fu ucciso suo fratello Mimmo, uscito da poco dal carcere dopo una lunga detenzione. In auto con lui c’erano anche moglie e figlio.
Per quell’omicidio a febbraio scorso, gli agenti della Squadra mobile hanno arrestato tre persone: il pregiudicato barese Domenico Monti, soprannominato “Mimmo il biondo”, ex braccio destro del boss Tonino Capriati ed esecutore materiale, Christian De Tullio e Maurizio Larizzi, considerato il mandante.
A decidere la morte, secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia, sarebbe stata proprio la sua ambizione di mettere le mani sullo spaccio di droga, rivendicando un ruolo egemone nel clan anche spostandosi sulle estorsioni agli affiliati come Larizzi, che in quegli “anni di malavita – dicono nelle intercettazioni – aveva fatto affari”. Un omicidio che per alcuni componenti della famiglia viene considerato un affronto da regolare con il sangue, mentre per altri viene considerato una questione da accantonare, in nome degli affari.