“Il dottor Giampaolo Rosati del Pronto Soccorso della Murgia, meriterebbe di essere licenziato in tronco perché assolutamente incapace di trattare umanamente di assistiti e i loro congiunti”. Inizia così il lungo post dell’ex consigliere regionale Mario Conca pubblicato sulla sua pagina Facebook.
Una missiva nata dopo il racconto di una sua amica in merito alle vicissitudini vissute all’interno del Pronto Soccorso dell’ospedale della Murgia con un medico su cui Conca, nel lontano 2018, aveva già puntato il dito sui modi di fare. Abbiamo dunque deciso di riproporre per filo e per segno tutto il post scritto dall’ex consigliere regionale, fermo restando che saremo sempre disponibili qual ora il medico in questione voglia ribattere a quanto denunciato.
– IL POST DI MARIO CONCA
Ieri pomeriggio mi ha chiamato una mia amica per dirmi che stava al pronto soccorso dell’ospedale della Murgia perché stavano dimettendo sua madre e di turno c’era il medico Giampaolo Rosati. A quel punto ho immaginato la scena, avendo avuto esperienza personale nell’aprile 2018, di cui in calce riporto il resoconto, e mi sono seriamente preoccupato per la povera mamma di Angela.
Rosati è un medico che dovrebbe stare su un eremo a curare gli animali selvatici, quelli domestici sono troppo delicati e ne rimarrebbero traumatizzati, per la disumanità e il tatto che è capace di erogare impunemente anni. Per la legge del contrappasso dovrebbe essere trasferito in una delle strutture sanitarie carcerarie, magari all’Asinara, così vediamo se riesce a fare il bullo pure con gli ergastolani.
La cosa triste e che lo sanno tutti in ospedale, peccato che girino la testa dall’altra parte, ma veniamo ai fatti di ieri. Il cosiddetto medico, in ossequio al giuramento di Ippocrate e al suo CCNL (contratto collettivo nazionale del lavoro), e con la solita saccenza e arroganza, manco il suo camice fosse il mantello di un super eroe del male, iniziò a buttare all’aria i fogli delle consulenze, dei referti e quant’altro fosse necessario per la SDO non dovuta (scheda di dimissioni ospedaliera), inveendo contro due sorelle che erano semplicemente preoccupate per la mamma. Erano agitate perché la mamma da giorni era ricoverata nell’osservazione breve intensiva (OBI) del pronto soccorso e ieri mattina, per la terza volta, una dottoressa le aveva detto loro che stavano trovando un posto per poterla ricoverare. Ieri pomeriggio, l’esimio Gianpaolo Rosati, contrariamente a quello che tre sue colleghi avevano detto nei giorni scorsi, la stava dimettendo e si stava pure incazzando con i parenti.
L’amica mi ha detto di aver chiamato i carabinieri che hanno declinato la chiamata dicendo che non avevano pattuglie, forse stavano controllando i certificati verdi, così le ho suggerito di fare il 113. Non l’avessi fatto, la polizia le ha risposto e le ha passato i carabinieri.
A quel punto ho scritto un WhatsApp al primario del pronto soccorso, Antonio Dibello, per denunciare l’ennesima angheria di un suo burbero sottoposto e per sentirmi dire ciò che già sapevo. E cioè che avrebbe verificato, che il PS è un inferno, che ci sono pazienti da tre giorni e non si riescono a ricoverare da nessuna parte perché da noi, Emiliano e Montanaro, hanno chiuso il Reparto di Medicina per via della iperpompata emergenza sanitaria. L’hanno chiusa, la Medicina, nonostante le nostre proteste che sono balzate agli onori della stampa e nel silenzio complice ed assordante della direttrice sanitaria del Perinei, l’impercettibile Altomare, che essendo stata messa lì dopo essersi candidata a sostegno di Emiliano nel 2020, ora deve solo eseguire i desiderata di ingiusti e incapaci mestieranti della politica e della dirigenza amica. La MEDICINA è una delle valvole di sfogo di un pronto soccorso. In un ospedale di frontiera con un bacino enorme, oltre 150 mila persone, come dico dal marzo 2020, o lo fai diventare tutto dedicato all’emergenza, e sai che tratti solo quei pazienti, oppure lo lasci stare in pace, la soluzione più giusta per l’entroterra, e individui un altro ospedale su Bari, il San Paolo ad esempio, visto che nel barese ve ne sono 7 di ospedali, uno ogni 60 mila abitanti.
Vi racconto questi fatti perché certe persone dimenticano che sono pagate per servire educatamente i pazienti e i loro accompagnatori, affinché troviate sempre il coraggio di denunciare penalmente nella speranza che si trovi un giudice a Berlino. Infatti, alla mia amica che voleva denunciare, l’ho caldamente incoraggiata.
Ora però è il caso, per chi ama leggere e ama approfondire i meandri di cotanta inefficienza, che io vi incolli la mail che ad aprile del 2018 inviai all’allora direttore generale della Asl Bari, Vito Montanaro, al direttore sanitario Fornelli e al direttore amministrativo Capochiani, la cosiddetta direzione strategica. Per conoscenza lo invia al primario Dibello, alla direzione sanitaria di presidio, all’allora Capo Dipartimento Ruscitti e all’affabulatore Presidente/Assessore Emiliano. Ve la incollo per dimostrarvi che stavamo nella cacca già prima, ora hanno solo la scusa. Ve la posto perché è assurdo che questi signori debbano passare anche per capaci e umani.
Naturalmente, al tempo, nessuno si preoccupò di rispondere alla mia mail, tantomeno di punire disciplinarmente Rosati come chiedevo, ma a distanza di pochi mesi, il 6 luglio, Montanaro fu posto ai domiciliari per i fatti lucani di Pittella, salvo poi essere scagionato e diventare capo dipartimento della sanità al posto del veneto Ruscitti che, nel frattempo, era dovuto scappare dal bipolarismo amministrativo dell’emiliano pugliese per andare a dirigere la sanità Trentina.
Nel frattempo era arrivato Sanguedolce, dopo un breve periodo di commissariamento straordinario toccato al DA Capochiani in ossequio al comma 6 dell’articolo 3 della 502/92, e con la DS Fornelli, tutti e tre stanno tutt’ora all’ex CTO, in attesa che il riconfermato DG Sanguedolce, ad opera del neoassessore Palese che ha solo portato in giunta scelte fatte dal solito Emiliano che con la complicità del Decreto legislativo 171/2016 continua imperterrito a fare clientelismo politico/sanitario.
La mail
Gravina, lì 15 aprile 2018
Caro Direttore Montanaro,
sabato 14 aprile è toccato a me accedere al pronto soccorso della Murgia ed ho potuto notare come, al netto delle colpe sovraordinate e di sistema, il pressappochismo, la disorganizzazione e la maleducazione regnano sovrani nonostante ieri ricorresse il quarto anniversario del nosocomio. Sono arrivato alle 18.30 circa perché mio fratello aveva avuto un incidente e alla 20 circa era stato fatto il triage, la visita del medico e un prelievo per emocromo oltre che fisiologica e toradol per lenire i dolori. Abbiamo fatto i raggi ed abbiamo atteso l’ortopedico reperibile fino alle 22.30, alla faccia dell’h24 insito nella natura dell’emergenza urgenza, solo perché nessuno del pronto soccorso aveva avuto l’accortezza di sollecitarlo alle 20.30 ma solo alle 22 e dopo che avevo insistito per la seconda volta. Eppure c’erano i referti della radiologia e almeno altre 2 persone in attesa di consulenza dalle 20, un menefreghismo totale. Alle 22.30 finalmente eravamo in ortopedia ed il dottor Lorusso dopo aver escluso ogni tipo di manovra voleva mettere un BOS ma non c’erano misure superiori alla quinta. Così ne preparò uno di fortuna con garze. Peccato che il diametro del bos artigianale rende inutile la procedura, ma vabbè, lunedì dovremo tornare e si vedrà. La diagnosi comprendeva qualche escoriazione, una sublussazione dx, una frattura scomposta della clavicola sx e fratture a due coste superiori. Era stata richiesta anche la consulenza chirurgica e la fortuna volle che fosse in turno. Così, per non attendere l’ausiliario portai mio fratello al terzo piano e alla 11.55 avemmo il responso del dottor Angelastri che consigliava nuovo emocromo di controllo per escludere emorragie, oltre che un ricovero, tachipirina, visita e radiografia di controllo a 3 e 25 giorni per monitorare le coste fratturate. Ritornati al pronto soccorso scoprimmo che la provetta di sangue delle 19.30 era rimasta al pronto soccorso e solo allora l’infermiere la portò al laboratorio analisi. Dopo un quarto d’ora ci disse, passando dal corridoio, che i valori erano nella norma e che avrebbe sollecitato al medico le dimissioni. A quel punto, senza saper né leggere e né scrivere, gli dissi che il chirurgo aveva prescritto un emocromo di controllo e che non serviva a nulla quello delle 19.30, così, dopo aver tentato invano di dirmi che sarebbe stato lo stesso, lo convinsi a fare l’altro prelievo. Nel frattempo dissi al medico che andava somministrata per via endovenosa la tachipirina prescritta dal chirurgo e dopo che quest’ultimo tentò di dirmi che non era necessaria se non aveva dolore, assurdo solo pensarlo con tale diagnosi, vista la mia ulteriore richiesta gliela somministrarono nella sala d’attesa.
Alle 00.40 arrivò il responso del secondo emocromo che scongiurò stillicidi interni, così, mentre mio fratello finiva la fiala con la tachipirina andai dal medico per firmare la SDO. Morale della favola, se mio fratello si fosse trovato da solo a stazionare in attesa di attenzioni, diagnosi e cure, le sei ore e mezza sarebbero potute diventare almeno 9, non avrebbe fatto il secondo emocromo di controllo e sarebbe tornato a casa senza tachipirina ignaro di poter avere eventuali complicazioni. Ma se avesse avuto un’emorragia interna o la febbre? Io non vidi misurazioni e termometri. Dopo tante criticità sarebbe eccessivo parlarvi di dimissioni protette di cui all’articolo 8 lettera c della legge 405/2001, dei raggi a tre giorni che non si sa come dovresti fare a prenotare in tempo utile, consulenze che per ottenere dovrai abusare nuovamente del Pronto soccorso sperando di non dover passare un’altra mezza giornata o un burbero.
All’una lasciammo il pronto soccorso e potei apprezzare la sensibilità della guardia giurata che, vedendo la smorfia di dolore, la fronte madida di sudore e la difficile deambulazione di mio fratello, mi consigliò di entrare con l’auto nella camera calda per non prendere freddo, un gesto umano che lenì l’ennesima amara costatazione delle tante denunce che ricevo regolarmente nella totale indifferenza del personale di servizio e senza voler ovviamente generalizzare.
Come se tutto ciò non bastasse, nella speranza che quanto finora esposto possa servire ad offrire un servizio migliore, qui appresso devo stigmatizzare un fatto per me gravissimo. Nelle prime ore, infatti, ho potuto riscontrare personalmente, quantomeno l’indelicatezza del Dottor Rosati Gianpaolo, in turno pomeridiano, che, dopo aver fatto fare l’emocromo all’infermiere, e solo perché quest’ultimo gliel’aveva richiesto più volte, dopo tre quarti d’ora che eravamo in religioso silenzio nella sua stanza, e come se noi non fossimo presenti, disse all’infermiere con tono scocciato perché ci avesse portato in stanza visto che non poteva visitarlo ancora, come se lui potesse leggerlo nel pensiero. A quel punto, educatamente, gli feci notare come fosse assurdo che un medico dovesse fare l’amministrativo anziché visitare, ricordandogli che stavamo lì ma avremmo preferito stare altrove, soprattutto di sabato sera. Quel mio dire lo fece agitare e a quel punto con tono ancora meno consono mi disse, alzandosi e venendomi incontro, che dovevo uscire e chiamò a gran voce la guardia dicendogli di allertare i carabinieri se fosse stato necessario. A quel punto alzai il tono della voce a mia volta e gli dissi che ero un consigliere regionale e forse sarei potuto anche rimanere, ma rincarò la dose. Allora, visto che c’era anche l’altro mio fratello, per evitare di disturbare oltremodo chi soffriva nei corridoi e nelle altre stanze, non insistetti e mi feci ‘condurre’ alla porta sotto lo sguardo dei presenti da una guardia giurata insistente. Io sono una persona umile che non ha mai avuto bisogno di chiedere corsie preferenziali o di accreditarsi come un consigliere o un dottore o altro, da sempre ottengo i miei diritti di cittadino nel rispetto del ruolo altrui, ma ciò che trovo ripugnante e assurdo è l’arroganza e la strafottenza con cui un dipendente pubblico possa rivolgersi all’utenza, noncurante che di essere pagato per servire la collettività. Da sempre, quando mi imbatto in tali situazioni, mi oppongo con tutte le mie forze, urlando se è necessario, l’ho fatto quattro volte nella mia vita. Una ventina di anni fa alla motorizzazione civile, una dozzina di anni fa alla camera di commercio, alla nascita della mia quarta figlia nel 2011 all’agenzia delle entrate e l’ultima volta giovedì u.s. in commissione Sanità contro la dirigente del welfare Candela. Stasera, per rispetto del personale e soprattutto degli altri utenti, ho evitato di farlo come il soggetto avrebbe meritato. Una persona corretta avrebbe dovuto chiamare in disparte l’infermiere per dirgli di accompagnarci altrove, con tatto l’infermiere avrebbe dovuto farci spostare e nulla sarebbe occorso. Direttore, ritengo tu debba educarlo al rispetto del prossimo, lui è pagato per servire la gente e tenuto ad essere educato, almeno, in egual misura. Ho poi avuto modo di appurare che il dirigente medico Rosati litiga con tutti ed è quindi recidivo, qualcuno, raccontandomi un aneddoto,, mi ha detto che litigherebbe anche con il Papa. Ti chiedo di intervenire disciplinarmente perché se fosse stato un mio dipendente l’avrei redarguito a dovere, ricordandogli che la sua frustrazione, certamente rinveniente in buona parte da un sistema che fa acqua da molte parti, non può tradursi in mancanza di tatto verso chi soffre e senza lamentarsi stava attendendo il suo scartabellare che mi è parso, peraltro, quello di chi non sapesse cosa e dove cercare, ma questa è solo una mia impressione.
Scusandomi per la lunga missiva ti saluto cordialmente e vorrei essere aggiornato sull’evolversi della situazione.