Torniamo ad occuparci di Roberto Amatulli, il barese professatosi pastore della Chiesa evangelica senza alcuna autorità. La storia ha fatto il giro dell’Italia. Amatulli ha pensato bene di sfruttare i social e su Tik Tok imperversano ormai da qualche tempo benedizioni, singole e di gruppo; presunte guarigioni; canti e preghiere di ogni tipo. Dopo l’intervista a suo nipote Giuseppe, la risposta tramite video a quest’ultima dello stesso Amatulli, l’attacco del cristiano evangelico pentecostale Ciro e la precisazione del Consiglio delle Chiese Evangeliche, questa volta abbiamo parlato con Giuditta, per diversi anni succube del pastore. Avevamo già raccontato la sua storia tramite la testimonianza di sua sorella Isa.
“Loro mi chiamavano ancella, per loro avevo quel nome e quelle funzioni – esordisce -. Sono andata al centro estetico di Marianna e lei mi ha parlato di un Dio che poteva togliermi la depressione. Volevo suicidarmi in quel periodo, mi sono sentita consolata e abbracciata. Capita per la prima volta. Sono andata a vivere lì, dormivo su un lettino delle cerette del centro estetico, aiutavo Marianna rispondendo al telefono, ripulendo le stanze, accogliendo i clienti, andando a fare la spesa, pulendo i piatti e lavando i vestiti. Dovevo preparare la stanza quando dovevano andare in diretta. Non ho mai avuto un euro per tutto questo”.
“Quando mi punivano mi facevano mangiare da sola nella stanza, a volte mi lasciavano in giro per Bari dandomi solo 5 euro. Non potevo sbagliare la spesa, il gelato e la verdura dovevano essere di un certo tipo, la domenica non dovevano mancare gli allievi e i pasticcini. Se sbagliavo, non mi facevano mangiare – aggiunge -. Sono consapevole di essere stata sfruttata, ringrazio Dio per essere stata comunque bene. Non mi hanno fatto vedere e sentire la mia famiglia per anni. Negli ultimi 4 mesi, prima di essere riportata da mia madre, per loro sono diventata un peso. Mi mettevano da un’altra parte perchè ero triste e non dovevo essere un cattivo esempio per gli altri”.