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Policlinico Bari, denuncia shock sui social: “Pazienti tra feci e sangue”. Dal Pronto Soccorso arriva la smentita

14 Giugno 2022
– Autore: Eleonora Francklin
14 Giugno 2022
– Autore: Eleonora Francklin

Un post scioccante, pieno di ribrezzo e di dolore da parte di un figlio che non ha potuto fare niente per sua madre, se non riuscire a darle quel pasto lasciato sul vassoio vicino al letto o a toglierle dal corpo le tracce di feci non lavate da chi invece è pagato per farlo. Giancarlo dopo giorni di agonia ha deciso di scrivere una lunga lettera indirizzata alla direttrice sanitaria del Policlinico di Bari, Anna Maria Marinucci, accusandola della inadempienze che vengono commesse Shock Room del Pronto Soccorso del Policlinico di Bari. Qui di seguito la lunga lettera:

Gent.ma (le scrivo così solo perché le scrivo in pubblico) Anna Maria Minicucci, direttrice sanitaria dell’azienda ospedaliero universitaria del Ospedale Policlinico di Bari, ho atteso sei lunghi giorni, prima di scriverLe pubblicamente. Scopro che Lei è dirigente. Di cosa? Per cosa? Perché? Cosa crede o avrebbe la pretesa di dirigere? Perché io credo che lei diriga un’azienda che è nella merda. Quella in cui io, e tanta, troppa gente, sguazzo da lunghi, interminabili, giorni! Ho riflettuto e non dormito per infinite nottate, prima di scriverLe. Ho pianto per diverse ore, prima di dirle in pubblico. Osservato, udito e ingoiato troppo per vomitarLe quello che non riesco a mandare giù. In sei giorni ho urlato solo una volta, ieri, dinanzi a un poveraccio di medico, prima di augurarLe quello che lei sta permettendo a mia madre. Da sei lunghi e interminabili giorni. E come a lei, a tante donne e uomini, rinchiusi in un luogo osceno, vergognoso, al limite dell’umano, presso un luogo del #pronotosoccorsodibari che ho scoperto si chiami #shockroom e a giusta ragione. Mi batterò, da questo momento in poi, affinché quel postaccio venga abitato, sia luogo frequentato, di ritrovo, di DENUNCIA, da parte della stampa, dei cittadini, dei fantomatici politici, dei medici coscienziosi e con un senso umano, civico ed etico dell’esistenza, piuttosto che consapevoli solo di un giuramento disatteso. Io sono un cittadino. Poi anche un educatore e insegnante. Ma anche giornalista. Ho il dovere della parola. Diritto alla denuncia, il dovere di pagare onestamente le tasse e la pretesa di fare in modo che quelle mie tasse contribuiscano a garantire lo stipendio di chi deve dirigere responsabilmente la sanità pubblica. E Lei, in quanto direttrice anche di quel non luogo, va denunciata per le sue inadempienze e per quelle che si continuano a perpetuare in quel luogo scioccante. Non credo Lei l’abbia mai frequentato, perché, altrimenti, smetterebbe di dormire, mangiare e continuare a svolgere il suo ruolo. Ho stentato a credere che potesse esistere un luogo simile. È un non luogo. In quel limbo sono tenuti uomini e donne nella merda, letteralmente. Per tre giorni minimo, anche cinque, i parenti vanno dai loro genitori, figli, nonni e parenti e li trovano nella merda o nel sangue, rappreso, seccato sulla pelle, che si fa fatica a levare via. Prima di entrare in quel non reparto, giustamente definito scioccante, ci si deve prenotare, telefonicamente, e per fortuna a risponderti ci sono due umanissime signore, Luisa e Maria, di quelle che evidentemente sanno, si accorgono di ciò a cui assistono ogni giorno. Devono provvedere alle richieste telefoniche, a risolvere la giustificata irruenza dei parenti, fuori dalla porta d’ingresso, che arrivano per sapere perché, da un giorno all’altro, la propria madre abbia smesso di riconoscere i suoi figli in quei dieci minuti concessigli per entrare e obbedire a una serie di ipocriti protocolli, fra camici, mascherine, guanti, mentre si entra e lì si cammina letteralmente nella merda. Avete avuto la scusa del Covid per continuare a portare avanti questo massacrante stillicidio, perché evidentemente tutto possa rimanere nel silenzio di chi osserva e, per senso di sopravvivenza, tace. O non ha le possibilità di dire. Per paura, inadeguatezza o perché non sa che non bisogna essere giornalisti, insegnanti o altro, semplici cittadini, per dire quanto fate ribrezzo. Lei sa che è responsabile anche di quella merda? Quella che ho calpestato ieri, fra decine e decine di uomini e donne, ammalati, stipati in quel non luogo, ognuno/a dei/delle quali mi chiedeva aiuto, implorando pietà. Quella che Lei non sa, non conosce, che forse avrà studiato al liceo, ha a che fare con la pietas, piuttosto che con la pietà (altra cosa) che, invece, ho provato io, guardando negli occhi le donne e gli uomini in quel non luogo dove mi pregavano di levargli da terra il cibo, mettergli nel borsone le proprie robe, lavargli le mani dal sangue fuoriuscito dagli aghi delle flebo. Coprirgli le gambe per il freddo. Ieri ho assistito finanche una signora, letteralmente paralizzata, a cui si era richiesto di firmare un foglio e una delle OSS lì presenti, seduta, fra tanta merda e sangue da raccogliere, pulire, eliminare, scocciata, ha portato all’anziana signora, completamente immobilizzata, lo scatolo di cartone dei guanti, su cui poggiare il foglio, perché secondo quella scienziata, pagata per farlo, l’anziana avrebbe potuto su dell’esile cartone firmare quella carta, senza che nessuno la aiutasse. Ecco, io auguro la stessa cosa a qualche suo parente. Che sia impedito a firmare e gli si porti un cartone, magari sporco di merda, su cui poggiarsi e firmare. Per conoscere, avere la consistenza, avvertire l’olezzo di tutto ciò. Perché chi permette tutto questo, mette firma, con la propria responsabilità sulla merda. La stessa che ho raccolto dal culo, levato dalla pancia e pulito dalle gambe e mani di mia madre, perché per tre giorni tenuta nuda, con un pannolone e deprivata finanche del cibo, figuriamoci delle cure e delle pulizie. Il cibo lasciato sul suo comodino, accatastato e dismesso in una busta perché rovesciato. Nessuno che la imbocchi, l’aiuti, non perché inadempiente, ma perché ha le flebo a entrambe le braccia. E un suo medico mi ha anche detto placidamente: “sua madre non è in un hotel, che può chiamare chi la imbocchi”. E come mia madre, così la maggior parte gli ammalati tenuti in quel non luogo. Auguro anche a Lei, oltre che al suo sottoposto medico che ho avuto il piacere di conoscere e di saperne anche il nome, di avere un parente per un’intera notte su una sedia, in attesa e illuso di essere trasferito in un reparto, senza cena e con tutto il suo vestiario in terra, ai suoi piedi, fuori dal borsone, salvo, poi scoprire, dodici ore dopo, la mattina seguente, di non avere più diritto al posto in quel reparto. Forse perché occupato da qualche fortunato paziente che ha diavoli in paradiso. Trattasi per lo più di amici primari. Io ne ho contattato uno, mio amico, grande medico, immenso uomo, a differenza sua: perché quel medico, non solo perché mio amico, ma in quanto Medico, ha fatto il diavolo a quattro, fino a notte fonda, per comprendere in quale stato era ridotta mia madre. Non ho chiesto a lui raccomandazioni, come forse è lecito fare a Lei, nel caso di qualche parente che ha il raffreddore. E chi non è fortunato come me ad avere diavoli in paradiso, essere amico di un primario, e deve imbattersi in direttrici come Lei, che colpa ha avuto mai? Quell’amico medico, primario, mi ha detto più volte di aver provato vergogna per la categoria, imbarazzo in quanto uomo e disgusto in quanto a servizio della sanità pubblica italiana. Quando si è reso conto, anche lui mi ha detto di denunciare. E io, con questo mio post pubblico sono solo all’inizio di una denuncia. Lei è pagata anche con i miei soldi, quelli che io mi guadagno onestamente, tentando di insegnare a future donne e uomini come si possano ricoprire anche cariche pubbliche, studiando, impegnandosi ma soprattutto costruendosi una propria etica. Umana. Che non serva a denigrare, umiliare e ammazzare gli umani, tantomeno ridurli a merda, al modo di come lei ha ridotto mia madre, e le donne e gli uomini che sono tenuti in quei letti d’ospedale (parola grossa in questo caso). Persone, a cui Lei è tenuta a prestare il suo servizio di medico, e finanche di direttrice (di che?!).  Questa mattina si rechi fuori da quel non luogo, guardi proprio di fronte all’ingresso, ci sono buste di immondizie, fra queste tante altre buste, lasciate da altrettanti uomini e donne, i parenti degli e delle ammalate, che chiudono nelle stesse ciò che rifiutano di portare a casa: la merda raccolta dai loro padri e madri, che macchia i loro pigiami, maglie intime e tutto ciò di cui in quel non luogo sono deprivati. La merda che ha macchiato, credo in modo indelebile, la mia dignità di uomo, di figlio, di cittadino, di servitore di uno Stato che non ha pietà dei più poveri e rende merde i più ricchi. Un’ultima cosa, vorrei augurarLe, che se qualcuno dei suoi parenti, come la mia mamma, prende qualche medicinale di quelli salvavita, che fra l’altro abbiamo portato noi in ospedale, in quel luogo scioccante, che venga perso. Si, perché in quel postaccio accade anche che vengano persi i medicinali che gli ammalati si portano da casa, strapagandoseli, per farseli perdere da chi dovrebbe lavorare in quel postaccio. Al modo di come avete perso, secondo le/gli OSS e i medici lì presenti, il farmaco salvavita di mia madre, non somministrato per due giorni, e che io ho poi ritrovato accatastato nelle sue mutande, calze e maglie, tenute alla rinfusa e accatastate in terra. Ill.ma direttrice, così si muore, in quei non luoghi, mentre quelle/i come Lei ricoprono ruoli di prestigio, sebbene pieni di merda non visibile. Ma del cui odore, tanfo e miseria, rimarremo immersi noi, ammalati di un dolore indicibile: la mancanza di umano. Quella che, però, non ci impedirà di urlare che da quella merda, come dice il poeta, è possibile che nascano i fiori. E mia madre, insieme alle donne e agli uomini che sono in quella shock room del Pronto Soccorso del Policlinico di Bari, da quella merda, senza il suo consenso, io e tantissimi altri cercheremo di renderli nuovamente rose, perché profumino i non luoghi. Di cui il mondo, abitato da tanti presunti dirigenti e direttrici, è pieno. P.S. Volutamente non ho fatto foto, video o altro. Non Le basteranno le 24h per levare la troppa merda presente nella Shock Room del Pronto Soccorso del Policlinico di Bari. Un non luogo. Insopportabile. Come Lei.

Uno sfogo che non è piaciuto al dottor Vito Procacci, dirigente medico del Pronto Soccorso del Policlinico che a Telebari ha smontato le accuse del barese. “Alla mamma di questo signore è stata data l’assistenza del caso”. Per Procacci si tratta di un post delirante pieno di diffamazioni pericolose che possono istigare la violenza contro gli operatori sanitari. “Potete venire a vedere cos’è la Musi in qualsiasi momento – ha continuato suo quotidiano locale -. Quello che ha scritto questo signore non esiste né in cielo né in terra”. Per Procacci il post contiene una serie di menzogne dato che situazioni come quelle descritte sui social, in anni di carriera, non ha mai visto.