“La mia ex moglie mi ha chiamato dicendomi che mio figlio autistico, affetto da un livello 3 di autismo, aveva la febbre alta. Ho detto di venirmi a prendere assieme a lui e all’altro mio figlio di 17 anni per andare in ospedale. Quando siamo arrivati al Pediatrico, verso le 00.30, abbiamo aspettato 30 minuti per fare tutte le operazioni del pre-triage, spiegando sin da subito i problemi di mio figlio che non sopportava l’attesa e di restare per diversi minuti in un luogo chiuso”. Inizia così il racconto del papà che nella notte ha colpito la porta della medicheria del Pronto Soccorso dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari, ferendosi alla mano. Le schegge hanno poi raggiunto il medico, ferito al volto, che si era riparato proprio dietro quella stessa porta.
“Alle due ci chiamano e dicono che tra un po’ toccava a noi. Alle 2.20, dopo due ore dal nostro arrivo, fanno entrare me e i miei due figli. Arrivo alla porta della stanza dove saremmo dovuti entrare e trovo due dottori seduti sulla barella che dondolavano con le gambe – racconta -. Stavano chiacchierando, ma non di cose lavorative. Ho salutato e il medico mi ha detto di aspettare con il gesto della mano. Dopo un po’ ho chiesto se potevamo entrare e mi ha ripetuto ‘un attimo’. Ho chiesto spiegazioni, perché erano due ore e mezza che aspettavamo e perché mio figlio stava male. Lui mi ha detto: ‘Cosa ci posso fare?’. In quel momento non ci ho capito più niente. Ho iniziato a dare parolacce, dico la verità: ‘Come vi permettete? Mio figlio lo state facendo soffrire’. Si sono scaldati gli animi e ho dato un pugno alla porta perché stavo troppo nervoso. Non volevo aggredire e fare male a nessuno. Nessuno è intervenuto o mi ha fermato. Ho detto a mio figlio grande di 17 anni che me ne sarei andato e sono andato via di mia spontanea volontà, ho lasciato lì mia moglie e i miei due figli. Un infermiere è uscito fuori perché mi ha aiutato a medicare il dito e ha detto che avevo ragione, ma che non poteva esporsi. Andrò dai Carabinieri, dopo essere andato in Polizia, per raccontare la mia versione dei fatti”.