“Era troppo buono e sensibile per lavorare in un ambiente del genere. Era incompatibile per quel posto. Non si trovava a suo agio soprattutto per le cose che gli facevano”. Queste sono state alcune delle parole dell’ex infermiere del carcere di Turi in merito a Umberto Paolillo, l’assistente capo della polizia penitenziaria del carcere di Turi che il 18 febbraio 2021 si è ucciso con la sua pistola di ordinanza nella sua auto, poco lontano da casa.
Dopo l’intervista siamo andati da mamma Rosanna. Sentendo quello che subìto l’infermiere ha vissuto dei giorni difficili perché è incredula di quanta cattiveria c’è in giro. Però ha voluto puntualizzare su un punto, precisamente sul fatto che Umberto non era adatto per quel lavoro. “Mio figlio non era depresso, era solo impaurito. Quando è stato assunto per lui è stata una gioia immensa portare quella divisa, che poi lo ha ucciso. Quando è stato a Verona e ad Aosta non aveva alcun problema. Tutto è iniziato nel carcere di Turi. Era buono e bravo, ha voluto dimostrare la sua forza sparandosi con la sua pistola di ordinanza, un’arma che per 33 anni non ha mai usato. Secondo me quel gesto lo aveva visto come rivalsa nei confronti di chi lo ha screditato per tutti questi anni”.
In merito alla consegna della pistola e al fatto che sia istigazione al suicidio, mamma Rosanna crede alle parole dell’infermiere. “Erano più di 7 mesi che non andava a lavoro perché aveva la 104 per me che ho un problema e poi l’aveva avuta per mio marito. Era contento che non doveva tornare più a lavorare in quel posto. Ma come ha detto l’infermiere, gli hanno fatto credere che non avrebbe più ottenuto la pensione. Quella cosa lo ossessionava. Io non mi do pace. Non ho ancora perdonato Umberto per quello che ha fatto. Prego il signore che mia dia la salute finché non vedrò pagare le persone che hanno distrutto mio figlio”.