Bari, casa popolare tolta ai clan a Japigia: dentro una famiglia con 2 figli disabili evacuata dopo il crollo di Carrassi

La casa popolare situata in via Giorgio La Pira, nel quartiere Japigia di Bari, fino a ieri occupata abusivamente dai parenti di Donato Maurogiovanni, 39enne arrestato nell’ambito dell’inchiesta Codice Interno e ritenuto vicino al clan Palermiti, è stata consegnata ad una famiglia di quattro persone con due figli disabili.

Si tratta di una delle famiglie rimaste senza un tetto dopo lo sgombero delle palazzine limitrofe all’edifico crollato in via Pinto nel quartiere Carrassi. La famiglia, viste le condizioni particolarmente delicate, era stata ospitata in un b&b.

Dopo la consegna delle chiavi all’Arca, c’è stato il trasferimento e per questo non c’è stato bisogno dello sfratto e dell’intervento delle Forze dell’Ordine. Come invece accaduto in via Caldarola con la nipote del boss Palermiti. Ora dentro c’è una famiglia di 4 persone e l’Arca sta effettuando lavori per l’installazione di una rampa mobile per consentire l’accesso ad un malato.

Il primo nucleo familiare aveva rinunciato ad entrare per timore di subire ritorsioni dai Palermiti. In entrambi i casi le abitazioni sono state lasciate in ottime condizioni e questo ha reso le tempistiche più veloci.

La situazione resta delicata, sono trecento le lettere di sfratto da immobili occupati nella sola città di Bari, tra queste duecento dove viene revocato il diritto al mantenimento dell’alloggio popolare a causa delle morosità.

Bari, non sequestra auto guidata da minorenne per aiutare il clan Capriati: vigilessa sospesa dal 19 febbraio

Una vigilessa di Bari è stata sospesa per tre mesi dal servizio, a partire dal 19 febbraio, a causa di alcuni contatti avuti in passato con persone legate alla criminalità organizzata barese. Secondo quanto ricostruito il 23 marzo 2017 si trovava, con un collega, al sottopassaggio di piazza Luigi di Savoia all’ingresso del centro di Bari. Fermò un’auto guidata da un minorenne, ma non sequestrò il mezzo e non denunciò il ragazzino.

Tutto questo per fare un favore a Giorgio Larizzi, spacciatore vicino al clan Capriati di Barivecchia. Nell’ambito di un’operazione antidroga della Dda di Bari, è emersa l’intercettazione telefonica in cui il minore chiedeva alla vigilessa di non sequestrare l’auto Quello della vigilessa è stato considerato un episodio che dimostra la “significativa vicinanza e il contegno soggiacente” nei confronti della criminalità organizzata. Da quel giorno ad oggi è rimasta però sempre in servizio , l’accusa di omissione di atti di ufficio non consentiva la misura cautelare. Il processo è ancora in corso, ma il reato sarà prescritto a marzo.

Si tratta del primo provvedimento adottato nell’ambito delle misure previste dalla Prefettura su indicazione del ministero dell’Interno che ha individuato “misure puntuali” che il Comune di Bari “dovrà adottare, al fine di assicurare il rispetto dei principi di legalità e buon andamento”, come si legge nel documento che il prefetto Francesco Russo ha notificato al sindaco Vito Leccese.

Il ministero, sulla base delle verifiche della commissione inviata dopo gli oltre 130 arresti di febbraio 2024 nell’ambito dell’inchiesta ‘Codice interno’ (sul voto di scambio politico-mafioso) ha stabilito che non ci sono “le condizioni” per lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni della criminalità, ma “ha condiviso la presenza di situazioni, anche ripetute, di irregolarità che hanno determinato disfunzioni nell’attività amministrativa”.

Anche per questo saranno previste ulteriori sanzioni nei confronti di dipendenti pubblici. Nella relazione del Prefetto sono previste altre misure che prevedono una riorganizzazione dei controlli interni e l’adeguamento degli strumenti regolamentari che riguardano le assunzioni. Misure saranno previste anche nei confronti di due municipalizzate.

Modugno, estorsione a imprenditore edile e schiaffi ai dipendenti: in manette 5 uomini del clan Capriati – I NOMI

Sono 5 le persone arrestate dalla polizia a Bari perché ritenute responsabili di diversi episodi di tentata estorsione, aggravata dal metodo mafioso, ai danni di un imprenditore edile titolare della ditta appaltatrice dei lavori di miglioramento della viabilità di accesso alla nuova fermata Rfi-Rete Ferroviaria Italiana di Modugno (Bari).

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Fermata RFI di Modugno, estorsione di 100mila euro ad imprenditore edile: arrestati 5 affiliati al clan Capriati

Alle prime luci dell’alba, la Polizia di Stato ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa, lo scorso 17 febbraio, dal G.I.P presso il Tribunale di Bari, su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di cinque soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, della tentata estorsione, operata con metodo mafioso, accertamenti compiuti nella fase delle indagini preliminari, che necessitano della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa, ai danni di un imprenditore edile, titolare della ditta appaltatrice dei lavori di miglioramento della viabilità di accesso alla nuova fermata R.F.I. – Rete Ferroviaria Italiana di Modugno.

L’indagine trae origine dalla denuncia dell’imprenditore, al quale era stata richiesta la somma di centomila euro per poter continuare nella realizzazione dell’opera appaltata. Di fondamentale importanza sono state certamente le dichiarazioni dei dipendenti dell’azienda estorta i quali, oltre a ripercorrere, puntualmente, i vari episodi, sono stati in grado di descrivere e riconoscere gli autori delle azioni estorsive.

Non trascurabili, dal punto di vista investigativo, sono state le immagini delle telecamere di video sorveglianza, acquisite ed analizzate da personale della Squadra Mobile della Questura di Bari, che è riuscito a ricostruire compiutamente gli eventi.

I fatti fanno riferimento a diversi episodi, che hanno avuto inizio lo scorso agosto e sono terminati a gennaio di quest’anno, allorquando gli indagati, per dimostrare la serietà delle minacce, hanno nuovamente fatto ingresso nel cantiere, schiaffeggiato uno dei collaboratori della vittima, cospargendo di benzina un escavatore, minacciando di incendiarlo e riferendo che sarebbero tornati il giorno successivo con del potente esplosivo, se l’imprenditore non avesse pagato. Anche per tale ragione il Giudice, accogliendo in toto le richieste di questa Procura della Repubblica, ha contestato loro il metodo mafioso.

I soggetti destinatari del provvedimento cautelare sarebbero da ricondurre alla criminalità organizzata di Modugno e da ritenersi contigui al clan Capriati. È importante sottolineare che il procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari e che, all’esecuzione della misura cautelare odierna, seguirà l’interrogatorio di garanzia e il confronto con la difesa degli indagati, la cui eventuale colpevolezza, in ordine ai reati contestati, dovrà essere accertata in sede di processo, nel contraddittorio tra le parti.

Bari, non sequestra auto guidata da minorenne per aiutare lo spacciatore dei Capriati: vigilessa sospesa per 3 mesi

Il Comune di Bari non sarà sciolto, nessun’altra azienda (oltre l’Amtab) sarà commissariata, seppur sono previste attività di tutoraggio nei prossimi mesi. Nel resoconto finale delle decisioni legate all’inchiesta Codice Interno, che ha travolto la città di Bari, ci sono anche le sanzioni destinate ad alcuni agenti di Polizia Locale.

Se 10 di loro non potranno più portare la pistola, una vigilessa è stata sospesa per tre mesi. Secondo quanto ricostruito il 23 marzo 2017 si trovava, con un collega, al sottopassaggio di piazza Luigi di Savoia all’ingresso del centro di Bari. Fermò un’auto guidata da un minorenne, ma non sequestrò il mezzo e non denunciò il ragazzino.

Tutto questo per fare un favore a Giorgio Larizzi, spacciatore vicino al clan Capriati di Barivecchia. Il retroscena è riportato da La Gazzetta del Mezzogiorno. Nell’ambito di un’operazione antidroga della Dda di Bari, è emersa l’intercettazione telefonica in cui il minore chiedeva alla vigilessa di non sequestrare l’auto.

Quello della vigilessa è stato considerato un episodio che dimostra la “significativa vicinanza e il contegno soggiacente” nei confronti della criminalità organizzata. Da quel giorno ad oggi è rimasta però sempre in servizio , l’accusa di omissione di atti di ufficio non consentiva la misura cautelare. Il processo è ancora in corso, ma il reato sarà prescritto a marzo.

 

Armi e risse in discoteca a Bari, i giovani rampolli fanno infuriare gli storici capoclan: nuove leve fuori controllo

“Sono andati a rompere un equilibrio questi per le cazzate dei ragazzini che vanno a ballare”. Queste le parole pronunciate da una persona vicina al clan Striscuglio all’indomani dell’omicidio del 41enne Lello Capriati, nipote dello storico boss Tonino, avvenuto il 1° aprile scorso a Torre a Mare.

La vecchia malavita barese non sembra essere per nulla soddisfatta dei propri rampolli. Le ultime vicende di cronaca, con protagonisti i giovanissimi dei clan baresi, in giro per la città e per i locali armati, hanno innescato una discussione interna. Soprattutto dopo il tragico omicidio della 19enne Antonella Lopez al Bahia Beach di Molfetta il 22 settembre scorso.

I piccoli aspiranti criminali giocano a fare i boss portando pistole, estraendole a proprio piacimento per il gusto di esercitare il proprio potere e farsi grandi. Tra loro anche Eugenio Palermiti e Savino Parisi jr, nipoti omonimi dei boss di Japigia, arrestati per detenzione abusiva di armi e per aver portato una pistola all’interno del Divinae Follie di Bisceglie con la complicità di un buttafuori amico.

“Prima le persone si uccidevano per i territori, a chi deve fare più clienti, più soldi, adesso questa guerra per cos’è?”, ha aggiunto lo stesso uomo intercettato. E nel corso degli ultimi mesi si sono verificate diverse risse tra i giovanissimi dei clan Strisciuglio, Capriati e Palermiti-Parisi.

 

Concorsi truccati, assunzioni dei politici e sindacato nelle mani del clan: il pentito inguaia l’Amtab e Decaro

Concorsi truccati, sindacato controllato dai clan e assunzioni legate al mondo della politica. L’Amtab finisce ancora nella bufera dopo le dichiarazioni del pentito Nicola De Santis, ex autista dell’azienda del trasporto pubblico barese vicino al clan Capriati di Barivecchia, nell’ambito della maxi inchiesta Codice Interno. Si parte dal concorso del 2008 per autisti, su cui la Procura di Bari ha anche avviato due indagini poi archiviate, per garantire l’assunzione di Massimo Parisi, il fratello del boss Savinuccio di Japigia che nel 2009 è sceso in campo per la campagna elettorale al Comune.

“Tre, quattro giorni prima del concorso, che era lì, nelle aule universitarie di via Re David, l’ex direttore Nunzio Lozito è andato a Roma, allo Studio Staff, c’aveva una lista di chi doveva entrare, perché erano il primo e il secondo gruppo. Il primo gruppo sono entrati tutti, ma alcuni di questi avevano già le domande, diciamo le schede in cui rispondere, invece ad altri hanno cambiato il codice a barre. Io sono andato al secondo piano, adesso non ricordo bene, le schede erano buttate su un tavolo e il codice a barre si spostava da una scheda all’altra. Alcuni che hanno dato la risposta sbagliata si è ritrovato con quella corretta, e viceversa, dopo che sono state scambiate le schede”, le parole di De Santis agli inquirenti della Dda. “Prima che avveniva il concorso a Massimo Parisi fu garantito che lui a quel concorso l’avrebbe superato perché dovevano fare la campagna all’epoca a Giorgio D’Amore alla circoscrizione di Japigia e Torre a Mare e all’ex sindaco Decaro. Chi procacciava voti? Michele De Tullio, tutti quanti, ma anche noi. Solo che noi, diciamo la mia famiglia all’epoca, anziché votare Decaro, ha votato a Elio Sannicandro e mio fratello, infatti, al concorso è stato scartato, pure se aveva lavorato per tanto tempo con l’agenzia interinale – le parole di De Santis riportate da La Gazzetta del Mezzogiorno -. Mi sa che Giorgio D’Amore prese sette-ottomila, novemila voti, e si vantava di questi 2mila voti che avevano dato a Japigia e Torre a Mare”.

Si torna a parlare del presunto incontro a Torre a Mare con l’ex sindaco di Bari, Antonio Decaro. “All’epoca diciamo che noi ci siamo incontrati a Torre a Mare, subito dopo, prima del concorso, c’è stata la campagna elettorale. E in quel periodo là, Michele De Tullio, Tommaso Lovreglio, Massimo Parisi, si sono dati da fare per procacciare i voti – aggiunge -. Massimo, diciamo, quando ha fatto il concorso era già attento perché prima della campagna elettorale, noi abbiamo avuto un incontro a Torre a Mare, con l’ex sindaco di Bari, Antonio Decaro, c’era Giorgio D’Amore (un altro politico) e c’erano altri, e stavamo io, Michele De Tullio e Massimo. Massimo all’epoca era già sicuro che entrava, perché Michele De Tullio disse: ‘Massimino sta già dentro, abbiamo più di duemila voti'”.

“All’epoca, nel 2004, ci siamo iscritti a una agenzia interinale. All’epoca si chiamava Ergoline, era un’azienda campana. Ci siamo iscritti là e abbiamo iniziato a lavorare. Io sono entrato nei trasporti disabili. Diciamo, la chiamata all’agenzia viene sempre dai vertici aziendali, all’epoca era il presidente Savino Lasorsa che dava la lista e chiamavano sempre le stesse persone – continua De Santis -. Pure se all’agenzia eravamo iscritti 50 autisti, alla fine lavoravamo in 7-8 persone. Io sono entrato tramite politica, ma anche qualcuno che appartiene al clan è stato iscritto all’agenzia con la forza, minacciando i vertici. Anche prima del 2004, sulle autogrù che gestivano i vigili urbani di Bari, sono entrati i fratelli Lafirenze, Franco Gaetano diciamo tutte persone… Con la forza, diciamo, hanno minacciato il presidente Savino Lasorsa e sono stati assunti. Nel 2008-2009 è stato fatto un concorso di parecchi autisti e lì, diciamo, chi ha lavorato prima con l’agenzia aveva un punteggio, diciamo, superiore rispetto ad altri. Là funziona così: là all’agenzia interinale si iscrive chiunque, va all’agenzia e si iscrive. Ma poi, da su all’azienda, fanno la richiesta di 15 nominativi e dicono: ‘Mi devi mandare Tizio, Caio e Sempronio’. Capito? Gli altri non lavoreranno mai”.

Ma non finisce qui perché dopo le assunzioni le persone vicine ai clan riuscivano a scalare posizioni all’interno. “A me e Parisi da subito ci hanno messo nel direttivo, per avere permessi sindacali, senza votazione, senza niente. In alcuni sindacati c’eravamo noi, e in altri minori non c’era nessuno. E quindi, prevaleva sempre quel sindacato – ha aggiunto De Santis -. All’epoca non avevamo il premio di produzione, 2002, 2003, il premio produzione a livello nazionale fu eliminato ai nuovi assunti, ai 140. Come entrammo noi, e anche subito dopo, abbiamo iniziato a far leva, Massimo è entrato e non aveva il premio di produzione, ha iniziato a far leva ai segretari di fare un tavolo con l’azienda, e all’epoca facemmo l’accordo con Lozito, di emettere questo premio di produzione a tutti i lavoratori. Ha fatto leva su Piero Venneri e anche su altri, poi ha fatto leva anche su sindacalisti, segretari e aziendali. Piero doveva parlare con Lozito (ndr, l’allora presidente) e far riconoscere questo premio anche a loro. Piero ascoltava Massimo perché sapeva che era il fratello di Savino. Il sindacato, a noi, era in via Caldarola, a Japigia. Stavo nel direttivo anche io”.

Mafia a Bari, il pentito De Santis in aula: “Il clan controllava l’Amtab tra assunzioni pilotate e concorsi truccati”

Le assunzioni nell’Amtab, la municipalizzata dei trasporti di Bari, avvenivano tramite “agenzia interinale”, dalla quale venivano chiamate “sempre le stesse persone”. “Se negli elenchi dell’agenzia c’erano 50 persone, venivano chiamate sempre quelle 6-7. Era la direzione, o l’ufficio del personale, a dire all’agenzia di mandare” determinate persone. Lo ha detto oggi in aula a Bari il collaboratore di giustizia Nicola De Santis, ascoltato in un’udienza del processo nato dall’inchiesta ‘Codice internò di Dda e squadra mobile di Bari, che ha portato a oltre 130 arresti e ha svelato i presunti legami tra mafia, politica e imprenditoria cittadina.

Il racconto fatto oggi da De Santis si riferisce ai primi anni Duemila (lui fu assunto come autista nel 2004, sempre tramite agenzia interinale): il direttore, ha detto il collaboratore di giustizia, “veniva pressato” per assumere nell’azienda persone vicine ai clan. De Santis ha confermato, come in passato aveva già messo a verbale, che alcuni concorsi per l’Amtab sarebbero stati truccati per favorire l’assunzione di persone vicine ai clan.

Le pressioni, ha spiegato De Santis, venivano fatte anche sull’ex responsabile dell’area sosta di Amtab, per la Dda vittima di estorsione da parte dei clan. “Quando c’erano concerti o eventi era Michele De Tullio (coimputato ritenuto membro del clan Parisi, ndr) a fare le squadre”. Il responsabile, ha aggiunto De Santis, “ubbidiva” alle richieste “perché aveva paura, sapeva che di fronte aveva il clan Parisi. E anche con Massimo (Parisi, fratello del boss Savino e autista Amtab, ndr) andava con i guanti”. Quando il responsabile dell’area sosta “aveva di fronte Massimo”, ha continuato il collaboratore di giustizia, “aveva timore”. “Massimo aveva il suo modo di aggredire, diceva ‘Io non posso andare al Cep, a Carbonara, a Enzitetò (quartieri di Bari, ndr) perché aveva timore che gli facessero un agguato. Lo temeva perché è il fratello di Savino Parisi”. “Quando si stilavano i turni – ha detto ancora – si faceva a rotazione, ma Massimo non ha mai fatto rotazione e non ha mai fatto alcune linee”. L’inchiesta ha portato all’amministrazione giudiziaria dell’Amtab (tuttora in corso) e al licenziamento dei dipendenti ritenuti vicini ai clan, tra cui Massimo Parisi.

Mafia e aste pubbliche truccate, scacco al clan Loiudice di Altamura: definitive 11 condanne – TUTTI I NOMI

I carabinieri di Bari hanno eseguito 11 ordini di carcerazione nei confronti di altrettante persone, vicine al clan Loiudice di Altamura (Bari), condannate definitivamente a pene dai 2 agli 11 anni di reclusione per i reati (a vario titolo) di associazione mafiosa armata, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, turbativa d’asta e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Nei confronti di una persona l’ordine di carcerazione è stato sospeso. I fatti si riferiscono al periodo tra il 2018 e il 2019. Il clan Loiudice, secondo gli inquirenti, è stato legato prima al clan Parisi-Palermiti e poi al gruppo Capriati di Bari. Gli 11 ordini di carcerazione eseguiti oggi si riferiscono all’inchiesta Logos della Dda di Bari, con la quale è stato svelato il ruolo egemone del clan sulla città di Altamura. Il gruppo gestiva “in regime di monopolio” lo spaccio di cocaina, hashish e marijuana su Altamura e, in alcuni casi, ha impedito il regolare svolgimento di alcune gare “esercitando violenza o minaccia nei confronti degli altri partecipanti al fine di scoraggiarli”.

Nel corso delle indagini sono stati confiscati ai clan beni per 150mila euro e sequestrati contanti per oltre 162mila euro. Gli ordini di carcerazione sono stati eseguiti nei confronti di Michele Acquaviva, 44 anni (condannato a 8 anni, 1 mese e 10 giorni); Giuseppe Dileo, 26 anni (condannato a 11 anni di reclusione); Giacinto Michele Ferrulli, 60 anni (condannato a 5 anni, 6 mesi e 10 giorni); Salvatore Giacomobello, 35 anni (condannato a 9 anni, 11 mesi e 12 giurni di reclusione); Domenico Lagonigro, 39 anni (condannato a 5 anni e 6 mesi); Alberto Loiudice, 34 anni (condannato a 9 anni, un mese e 10 giorni di reclusione); Paolo Loiudice, 70 anni (condannato a 10 anni); Filippo Miglionico, 35 anni (condannato a 5 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione); Lorenzo Aruanno, 55 anni (condannato a 4 anni di reclusione); Pietro Galetta, 51 anni (condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione). L’ordine di carcerazione è stato sospeso per il 61enne Francesco Caputo (condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione).

Mafia nel Foggiano, duro colpo al clan Li Bergolis: 39 arresti e 10 milioni di beni sequestrati. I capi al 41-bis

Sono 39 le persone ritenute appartenenti al clan Li Bergolis di Monte Sant’Angelo (Foggia) arrestate questa mattina (37 in carcere, due ai domiciliari) perché accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, altri reati in materia di droga e armi e diversi episodi estorsione, rapina, furto e favoreggiamento. Per tre degli arrestati, considerati capi dell’organizzazione, è stato disposto il regime carcerario speciale del 41-bis.

Le persone finite in carcere sono: Matteo Armillotta, Donato Bisceglia, Davide Carpano, Giovanni Caterino, Marino Arturo Pio Ciccone, Nicola Ciliberti, Giuseppe Pio Ciociola, Gianmichele Ciuffreda, Libero Colangelo, Luigi Ferri, Francesco Gallo, Michele Libero Guerra, Claudio Iannoli, Giovanni Iannoli, Orazio Pio La Torre, Matteo Lauriola, Luigi Mazzamurro, Antonio, Enzo, Leonardo e Raffaele Miucci, Raffaele Palena, Matteo Pettinicchio, Giorgio Raffaele Prencipe, Marco Primavera, Piergiorgio Quitadamo, Lorenzo Ricucci, Carmine Romano, Maria Gaetana Santoro, Lorenzo Scarabino, Giuseppe Stramacchia, Tommaso Tomaiuolo, Angelo e Pasquale Totaro, Mario Totta, Gianluigi Troiano. Ai domiciliari Maria Francesca Palumbo e il boss di Vieste, oggi collaboratore di giustizia, Marco Raduano.

L’operazione ‘Mari e monti’ ha coinvolto polizia, carabinieri e guardia di finanza. Gli arresti sono stati eseguiti tra Foggia, la sua provincia, ma anche in altre regioni. Le indagini, dirette dalla Dda di Bari, sono state coordinate dalla Direzione nazionale antimafia. Fondamentali, per le indagini, gli interrogatori resi da 18 collaboratori di giustizia, oltre che le intercettazioni telefoniche e ambientali. Agli arrestati sono stati sequestrati beni per un totale di 10 milioni.

“L’operazione di oggi colpisce una delle organizzazioni più potenti della mafia della provincia di Foggia, colmando un deficit di intervento repressivo che, per il clan Li Bergolis, durava da 15 anni”, ha detto in conferenza stampa il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. “Si tratta di una realtà di straordinaria pericolosità – ha aggiunto – nella quale, alla dimensione violenta, vessatoria e intimidatoria del gruppo si associa una capacità di operare nella modernità, dal traffico di stupefacenti al riciclaggio”. Il procuratore di Bari, Roberto Rossi, ha sottolineato la “quantità e la qualità della risposta dello Stato. Questa operazione è stata svolta grazie a un coordinamento efficace e straordinario” di magistrati e forze dell’ordine.