Cocaina dalla Colombia, Corte di Cassazione annulla tre condanne: il processo passa alla Corte d’Appello di Bari

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari davanti alla quale sarà celebrato un processo, la condanna inflitta nei confronti di Lida Cestari, Luigi Cestari e Giuseppe Cicco, coinvolti, dall’inizio degli anni 2000 in un’inchiesta sul narcotraffico internazionale tra la Colombia e l’Europa.

I tre erano stati condannati in abbreviato, nel 2013, rispettivamente a 10, 8 e 16 anni di reclusione perché considerati all’interno di un’associazione “dedita al traffico internazionale di ingenti quantitativi di stupefacenti (cocaina) dalla Colombia e dal Venezuela”, grazie ai contatti con il cartello dei “Los Mellizos” di Bogotà, in Europa e in particolare verso l’Italia, con la conservazione in depositi di stoccaggio tra Andria, Viareggio, Ladispoli, e Ancona e la vendita a vari gruppi per lo spaccio.

Alle indagini ha preso parte anche la Fbi e furono sequestrate decine di migliaia di chili di droga, per centinaia di milioni. I fatti contestati risalgono tra il 1998  e il 2002. Dieci anni dopo la prima sentenza, nel 2023, la Corte d’Appello di Bari aveva ridotto le condanne a 6 anni per Lida Cestari, a 6 anni e 6 mesi per Luigi Cestari e a 10 anni e 8 mesi per Giuseppe Cicco. La terza sezione penale della Cassazione ha annullato questa sentenza, rimettendo gli atti a un’altra sezione della Corte d’Appello di Bari.

Spaccio e armi a Castellana Grotte, Putignano e Polignano: condanne definitive per 5 – I NOMI

Gestivano lo spaccio di cocaina a Castellana Grotte (Bari), ma avevano anche a disposizione armi e munizioni e ricettavano auto rubate. Il loro capo, Franco Pirrelli (46 anni), ripartiva i compiti, stabiliva gli stipendi e individuava le basi operative del gruppo, anche da detenuto, mandando ordini attraverso la moglie Barbara Palmisano – diventata sua portavoce – a cui era dato anche il compito di gestire i problemi interni al sodalizio.

La droga arrivava da Marco Pesce, “considerato elemento di spicco della criminalità di Putignano”, come scrivono i carabinieri in un comunicato, che riforniva l’organizzazione con partite da un chilo di cocaina che il gruppo di Castellana comprava per 40mila euro e rivendeva per 100mila, di cui seimila spettavano mensilmente a Pirrelli.

Per questo, i carabinieri di Monopoli (Bari) hanno eseguito cinque ordini di carcerazione per altrettante persone colpite da condanne, diventate definitive, dai sei ai 14 anni di reclusione. Le persone interessate operavano nei comuni di Castellana Grotte, Polignano e Mare e Putignano. E i fatti loro contestati risalgono agli anni tra il 2018 e il 2020.

Le indagini che hanno portato agli arresti e alle condanne, oggi definitive, rientrano nell’operazione denominata ‘Eclissi’ che ha documentato come il gruppo – che vendeva cocaina per 80 euro a dose – avesse anche a disposizione pistole mitragliatrici, altre armi e cartucce di vario calibro. Armi e droga venivano nascosti in involucri interrati o in muretti a secco. Ma nel corso delle indagini, i carabinieri hanno anche scoperto un deposito in cui erano nascoste targhe di auto e componenti meccaniche di varie marche per 40mila euro, oltre a un’Alfa Romeo Giulietta rubata. I reati contestati sono di associazione armata finalizzata al traffico di droga, spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione illegale di armi da fuoco e concorso in ricettazione.

Le persone finite in carcere sono Franco Pirrelli (condannato a 14 anni), Marco Pesce (44 anni, condannato a 14 anni e 5 mesi), Gianfranco Manelli (50 anni, condannato a 8 anni), Pasquale Gentile (42 anni, condannato a sei anni e un mese) e Barbara Palmisano (45 anni, condannata a sei anni e otto mesi).

Omicidio Cosimo Nardelli a Taranto, il fratello Tiziano e Paolo Vuto condannati all’ergastolo: altre due pene

La Corte d’assise di Taranto (presidente Filippo Di Todaro, a latere Loredana Galasso) ha inflitto quattro condanne, due delle quali alla pena dell’ergastolo, per l’omicidio di Cosimo Nardelli, il 61enne pregiudicato ucciso il 26 maggio 2023 con due colpi di pistola al torace davanti alla sua abitazione in via Cugini 7.

Carcere a vita per Paolo Vuto e Tiziano Nardelli (fratello della vittima) ritenuti rispettivamente organizzatore e mandante dell’omicidio. La Corte ha inoltre condannato a 30 anni Cristian Aldo Vuto (figlio di Paolo), ritenuto l’esecutore materiale del delitto, e a 25 anni il cugino Francesco Vuto, che guidava la moto su cui viaggiava il killer.

E’ stata esclusa l’aggravante del metodo mafioso. Secondo l’ipotesi dell’accusa Tiziano Nardelli avrebbe ordinato la morte del fratello per contrasti sorti nella gestione di una cooperativa agricola.

Per altri due imputati, accusati di tentato omicidio e detenzione di arma da fuoco, è stata disposta la condanna a 18 e 2 anni. Cosimo Nardelli era uscito da poco dal carcere dove aveva scontato 17 anni di reclusione in seguito alla condanna per concorso nell’omicidio del 27enne Alessandro Cimoli, ammazzato con alcune coltellate il 31 agosto del 2006 all’uscita di una masseria abbandonata nelle campagne tra Faggiano e Talsano. I pm Milto Stefano De Nozza e Francesco Sansobrino avevano chiesto l’ergastolo per Tiziano Nardelli e Paolo Vuto, 28 e 26 anni per i due cugini Vuto.

Gasdotto Tap, chieste 8 condanne e una maxi multa per i presunti danni ambientali nel Salento

Sono otto le condanne richieste dal pm Alessandro Prontera per il processo che vede imputate la società Tap e 18 persone tra cui i vertici dell’epoca del management accusate, a vario titolo, di deturpamento di bellezze naturali, danneggiamento, violazione del testo unico in materia edilizia, inquinamento ambientale.

Dei sette capi d’imputazione contestati (gran parte dei reati sono stati prescritti), le richieste di condanna, a tre anni di reclusione, riguardano solo il reato di inquinamento ambientale e sono state chieste per Michele Elia, ex country managr di Tap Italia; Gabriele Lanza, project manager di Tap; Luigi Romano, Adriano Dreussi, Piero Straccini e Luca Gentili, manager di Saipem (principale appaltatore dei lavori di costruzione del microtunnel); Yuri Picco e Aniello Fortunato, rispettivamente responsabile di commessa e direttore tecnico di cantiere della Icop, società incaricata di realizzare il pozzo di spinta.

A ognuno dei otto imputati è stato anche chiesto di pagare una multa di 66.667 euro. Il processo è in corso dinanzi al giudice monocratico Chiara Panico del tribunale di Lecce, ed è stato rallentato a causa dei ripetuti cambi di giudice, finora sei.

La prossima udienza è fissata per il 10 febbraio. Tap è il gasdotto che trasporta metano dall’Azerbaijan all’Italia approdando sulle coste del Salento.

Narcotraffico dalla Spagna, 22 condanne a Bari: tra loro anche Cavallari jr – I NOMI

La gup di Bari Anna Perrelli ha condannato 22 persone a pene che vanno da un anno e quattro mesi a 20 anni di reclusione per i reati – contestati a vario titolo – di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti aggravata dal metodo mafioso, detenzione ai fini di spaccio di droga, detenzione di arma clandestina, ricettazione, porto e detenzione d’armi, estorsione aggravata e tentato omicidio.

Le pene più alte sono state inflitte a Giuseppe Annoscia e Vito Facendola, considerati i capi dell’associazione finalizzata al traffico di cocaina, marijuana e hashish sul comune di Altamura (Bari). Tra questi c’è anche Alceste Cavallari (detto ‘Gianky’) – figlio dell’ex ‘Re Mida’ delle Case di cura riunite di Bari Francesco – condannato a 12 anni di reclusione in continuazione con un altro patteggiamento, sempre per droga, a 4 anni. Cavallari è accusato di aver fatto parte dell’associazione e di aver acquistato e importato droga dalla Spagna. Uno degli imputati, Nicola Scalzo, è stato assolto dalle accuse di aver fatto parte dell’associazione e di aver detenuto droga per spacciarla.

Bancario leccese morto in carcere in Messico, confermate le condanne: pene fino a 25 anni di reclusione

Si è concluso con la conferma delle condanne inflitte in primo grado (nel gennaio 2017) il processo d’appello per la morte di Simone Renda, il bancario leccese di 34 anni deceduto il 3 marzo del 2007 in una cella del carcere Playa del Carmen, in Messico. I sei imputati, tutti contumaci, sono accusati a vario titolo di omicidio volontario e della violazione dell’articolo 1 della Convenzione Onu contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti.

Si tratta del direttore e vicedirettore del carcere, del giudice qualificatore, delle due guardie carcerarie di turno e del responsabile dell’ufficio ricezione del carcere. I giudici della Corte d’assise d’appello di Lecce, presidente Teresa Liuni, hanno inflitto 25 anni di reclusione ad Arceno Parra Cano e a Pedro May Balam, rispettivamente direttore e vicedirettore del carcere municipale, così come ad Hermilla Valero Gonzalez, giudice qualificatore di turno; 21 anni per Najera Sanchez Enrique e Luis Alberto Arcos Landeros, le due guardie carcerarie di turno e a Gomez Cruz, responsabile dell’ufficio ricezione del carcere. Assolti due agenti della polizia turistica municipale di Playa del Carmen.

I genitori di Simone Renda erano parti civili nel processo, con l’avvocato Paola Balducci. Simone Renda fu arrestato per disturbo alla quiete pubblica in un hotel a Playa del Carmen, dove era in vacanza, il primo marzo 2007. Morì due giorni dopo in una cella di isolamento dove era stato abbandonato senza che gli venisse prestata alcuna assistenza sanitaria. Nonostante le precarie condizioni di salute non venne mai portato in ospedale.

“Giustizia é stata fatta – dice l’avvocata Balducci -. Simone Renda è stato lasciato morire nel carcere di Playa del Carmen dopo essere stato ingiustamente arrestato. Un giovane ragazzo italiano, abbandonato senza cure, senza interprete, senza difensore. Simone, è stato lasciato in carcere senza che nessuno avvisasse la famiglia ed il consolato, nonostante necessitasse di un ricovero urgente per una grave patologia”.

Baby escort a Bari, prime condanne: 3 anni di carcere a Nicola Basile e Antonella Albanese

Tre anni e un mese di reclusione ad Antonella Albanese e tre anni e quattro mesi a Nicola Basile. Sono due delle 10 persone coinvolte nel presunto giro di prostituzione minorile di cui sarebbero state vittime, tra il 2021 e il 2022, quattro giovani baresi. Entrambi erano stati arrestati insieme ad altre otto persone lo scorso maggio. Albanese è attualmente sottoposta all’obbligo di dimora, Basile è ai domiciliari dopo aver scontato alcuni mesi in carcere. La Procura aveva chiesto la condanna a tre anni e quattro mesi per Albanese e a tre anni e otto mesi per Basile.

I due sono finiti a processo per prostituzione minorile. Albanese, 21enne, avrebbe – insieme a Marilena Lopez, Federica Devito ed Elisabetta Manzari, attualmente a dibattimento – indotto, favorito, sfruttato e gestito la prostituzione delle minorenni, «traendone un vantaggio economico», come scritto nel capo di imputazione. Stessa accusa mossa a Basile, imputato anche per aver avuto dei rapporti sessuali a pagamento con due minori. Albanese e Basile hanno risarcito le due ragazze costituite parti civili. Le motivazioni della sentenza saranno pubblicate in 90 giorni.

Traffico di droga a San Pasquale, Carrassi e Poggiofranco: 23 condanne. Inflitti 30 anni a tre capoclan – NOMI

Venti anni dopo l’ultimo dei reati contestati e 12 anni dopo la prima udienza del processo, il Tribunale di Bari ha condannato 23 persone, a pene comprese tra i 3 anni e quattro mesi ai 30 anni di reclusione, imputate nel processo sul clan ‘Vellutò di Bari, associazione finalizzata soprattutto al traffico di droga nei quartieri San Pasquale, Carrassi e Poggiofranco con articolazioni in alcuni comuni della provincia.

I fatti per i quali i 23 sono stati condannati risalgono agli anni tra il 1998 e il 2004, la maggior parte degli addebiti contestati è compresa tra il 2002 e il 2004. La sentenza di oggi arriva al termine di un processo lunghissimo, per il quale la prima udienza è stata fissata nel 2012. Tutti i singoli episodi di spaccio sono stati dichiarati prescritti, così come altri reati contestati. In 13 sono stati assolti ‘per non aver commesso il fattò o prosciolti per l’intervento della prescrizione.

La pena di 30 anni è stata disposta per Giovanni Fasano, Domenico Velluto e Pietro Simeone, considerati i promotori dell’associazione dedita al traffico di droga – comprata in Italia o dall’estero – nei quartieri controllati. Pene dai 20 ai 27 anni sono state invece inflitte ai consociati Carlo Biancofiore, Francesco Buono, Mario Di Gioia, Stefano Gatta, Alessandro Laforgia, Alessandro Lorusso, Alessandro Pace, Gennaro Ragone, Pietro Simeone, Achille Soragni e Angelo Spano. Quattro imputati, nel frattempo, sono morti. Tra questi c’è anche Francesco Vitale, pr e pusher morto a Roma nel febbraio 2023, a 45 anni, dopo essere precipitato dal balcone di un appartamento nel quartiere Magliana. Per il suo omicidio la Procura di Roma ha chiesto, a giugno, tre condanne a 18 anni. Il padre Domenico è stato condannato a 14 anni. Nel processo era coinvolto per due episodi di spaccio (prescritti) anche il 44enne Domenico Milella, collaboratore di giustizia dal 2020 arrestato la settimana scorsa a Genova con l’accusa di aver continuato a spacciare anche dalla sua località protetta.

Lupara bianca ad Altamura: chieste 4 condanne a 30 anni per l’omicidio di Biagio Genco – I NOMI

La Dda di Bari ha chiesto la condanna a 30 anni di reclusione per Giuseppe Antonio Colonna, Michele D’Abramo, Nicola Cifarelli e Giovanni Sforza, accusati – insieme a Mario Dambrosio, per cui è stata chiesta la condanna a 14 anni – dell’omicidio di Biagio Genco, commesso il 17 novembre del 2006 ad Altamura (Bari).

Il corpo di Genco non è mai stato ritrovato, Colonna e Dambrosio sono accusati anche dell’occultamento del cadavere. Nei confronti di Dambrosio la pm Grazia Errede ha chiesto una pena ridotta per le dichiarazioni autoaccusatorie – ed eteroaccusatorie – rese nel corso del procedimento. La discussione dei difensori degli imputati si terrà nella prossima udienza del 19 febbraio davanti alla gup Anna De Simone, costituiti parte civile ci sono i familiari di Genco, il ministero della Giustizia, la Regione Puglia e il Comune di Altamura. Colonna, D’Abramo, Sforza e Cifarelli furono arrestati a ottobre 2023.

Secondo l’accusa, quel pomeriggio Genco fu condotto «con l’inganno» (scrivono gli inquirenti) in auto nelle campagne di Altamura da due persone – tra cui l’ex boss Bartolo Dambrosio, ucciso nel 2010 – e fu colpito a distanza ravvicinata da tre colpi di fucile esplosi da Colonna che agì «con il supporto logistico degli altri tre» complici «che poi provvedevano a spostare e a nascondere l’auto della vittima, il cui cadavere non è stato mai ritrovato»