Nuovo Parco della Giustizia a Bari, al via il cantiere: demolizioni dei fabbricati delle ex Caserme Milano e Capozzi

Con l’avvio dei lavori di demolizione dei fabbricati delle ex Caserme Milano e Capozzi, che si estendono su un’area di circa 15 ettari, nel quartiere Carrassi, apre oggi il cantiere che porterà alla realizzazione del Parco della Giustizia di Bari che accorperà in un’unica sede gli uffici giudiziari immersi in un parco di circa 10 ettari. Lo annuncia in una nota l’Agenzia del Demanio che è stazione appaltante, mentre il ministero della Giustizia è committente e principale finanziatore dell’intervento. Il lavoro di bonifica sarà realizzato dall’impresa Idea per un importo complessivo di poco più di 9 milioni di euro, e durerà circa 6 mesi.

Si tratta, precisa la nota, “di uno dei primi cantieri pubblici in Italia ad adottare un insieme di misure e azioni virtuose in chiave sostenibile su sicurezza, riciclo, monitoraggio ambientale e contenimento dei consumi idrici ed energetici: oltre 1,2 milioni di quintali di rifiuti saranno recuperati e reintrodotti nel mercato per il riutilizzo. L’obiettivo è “mitigare gli impatti ambientali, sociali e per massimizzare il riuso, il recupero e il riciclo dei materiali”. Verranno inoltre adottate misure di contenimento per ridurre la dispersione di polveri in ambiente fuori dall’area di lavorazione. Il sistema di monitoraggio ambientale sarà attivo per tutta la durata dei lavori. Tutta la progettazione dell’intervento è stata eseguita con il prioritario obiettivo del rispetto dell’ambiente e la salvaguardia delle specie vegetali. Particolare attenzione verrà posta al contenimento dei consumi idrici e l’uso di macchinari con tecnologie a basso impatto ambientale.

Demolizione ex sede Gazzetta del Mezzogiorno, la figlia dell’architetto Mangini: “Non chiamatela riqualificazione”

“È assai dolorosa la notizia della prossima demolizione della Palazzo della Gazzetta del Mezzogiorno, in via Scipione l’Africano, opera dell’architetto Onofrio Mangini. Se egli fosse stato un pittore, un poeta o un musicista, oggi avremmo validi motivi per resistere alla distruzione di un’opera dell’ingegno, anche da eredi. Ma le opere di architettura, quando sono e per come sono realizzate, appartengono a tutti, patrimonio della città per quella intrinseca qualità che ne ha determinato il ruolo di punto riferimento nel paesaggio urbano. Per questa ragione esse non possono – non devono – essere ridotte a semplici beni immobiliari sul mercato”. Inizia così il comunicato di Barbara Mangini, figlia dell’architetto che ha costruito l’opera.

“Il Palazzo della Gazzetta del Mezzogiorno in via Scipione l’Africano, inaugurato nel 1972, ha rappresentato una tappa fondamentale nella civiltà del costruire, nella innovazione tecnologica e nella ricerca espressiva dei nuovi materiali. Nei poderosi pilastri ottagonali rastremati a geometria variabile è cristallizzata l’idea di una costruzione concepita per un giornale moderno, capace di trasformare rapidamente gli spazi così come si trasformava l’informazione – si legge -. Dunque, al di là dei motivi familiari, di affetto ferito per la annunciata perdita di un’opera di mio padre, ciò che sento dolorosa è la privazione che verrebbe inferta alla città, alla cultura pugliese che non riesce a tutelare, a salvaguardare il patrimonio realizzato nel Novecento, nonostante le numerose testimonianze critiche e storiografiche. Ricordo qui, sommariamente, i convegni organizzati negli anni scorsi dall’Ordine degli architetti e dall’In/Arch i saggi di Nicola Signorile («Occhi sulla città», Laterza 2004) e di Livia Semerari («La nuova edilizia a Bari. Il dopoguerra e la città trasformata», Adda 2008). Nel Censimento della architettura italiana dal 1945 al oggi, realizzata dalla Direzione generale Creatività contemporanea del Ministero della Cultura appare oggi la clinica Villa Bianca, opera di Onofrio Mangini, ormai demolita e sostituita da un palazzo residenziale, e mi sconcerta e sconvolge l’idea che domani possa apparire in quella selezione il Palazzo della Gazzetta, ma solo attraverso foto d’epoca, quale traccia della rimozione del Novecento in una città che ha rinnegato i suoi poeti. A cosa è servito dedicare premi e convegni all’ architetto Onofrio Mangini se poi si demoliscono i suoi capolavori ? Voglio sperare che ci sia ancora il modo, lo spazio e il tempo per impedire una demolizione che – per paradosso – si ha l’impudenza di definire riqualificazione”.