Bitonto, 65 gatti in casa: l’animalista Rizzi e il delirio da passerella

Devo ammetterlo, prima del suo tardivo intervento sul caso dei gatti di Bitonto, non avevo neppure idea di chi fosse il noto animalista trapanese Enrico Rizzi. Sono certo che in egual modo neppure lui conoscesse me e quintopotere.it, il giornale che cita costantemente per documentare il suo punto di vista su quanto accaduto ai “poveri” gatti. Eppure molti nostri lettori e suoi followers hanno creduto che in qualche modo fossimo legati. Lui è un animalista, io un giornalista. A entrambi non piacciono le cose storte, ma in questo caso tra noi c’è una colossale differenza: il racconto. Lui è intervenuto a distanza, citando noi, qualche video amatoriale girato dal cittadino qualunque e i colloqui telefonici con questo o quel politico. Noi, invece, siamo andati sul posto per capire fino in fondo cosa succede (La gestione del canile e le sue condizioni sono un’altra storia e ci torneremo).

Picchiamo duro, chi ci legge lo sa e lo facciamo non meno dell’animalista. Anche io, come Rizzi, sono stato condannato per diffamazione. Anzi, credo di essere coinvolto in molti più procedimenti penali di quanti lui possa immaginarne. Non è un segreto, basta cliccare qua e là su google per rendersene conto. Ciò che mai faremo, a differenza del noto animalista, è trasformare un fatto pubblico in passerella personale. L’acclamazione ricevuta durante il trasferimento dei gatti è solo gratitudine per aver cercato risposte durante i mesi in cui abbiamo tenuto sulle spine le istituzioni pubbliche.

Rizzi, a torto, è convinto di avere una tale influenza da aver convinto le istituzioni ad accelerare i tempi della risoluzione del problema, sempre che il problema sia stato effettivamente risolto. È convinto di avere un peso specifico talmente rilevante da essere stato contatto dalla Questura, con l’obiettivo di seguirne gli spostamenti durante il suo soggiorno a Bitonto. Tutto giusto, non fosse che il suo primo post su Facebook è di domenica scorsa. Prima di allora non conosceva neppure la situazione dei gatti in via Ugo La Malfa. Un post pubblicato rilanciando il nostro pezzo, due giorni dopo la Conferenza di Servizi annunciata qualche tempo prima ai nostri microfoni dalla dottoressa Dimundo, commissario capo della Polizia Locale di Bitonto.

Già due giorni prima del post indignato, le istituzioni avevano deciso quando e come intervenire. I tempi della burocrazia, della legge, spesso delle istituzioni e della politica non corrispondono a quelli dell’uomo, ma ci sono e nella maggior parte dei casi non si può fare diversamente. Tante volte il lavoro non si vede, ma c’è. Un lavoro misto alla frustrazione di dover agire non come il cittadino qualunque, ma come rappresentante di un’intera comunità. Andare sul posto quando si fa una denuncia è fondamentale, anche per evitare grossolani errori.

A detta di Rizzi, infatti, la presidente della cooperativa che gestisce la struttura dove sono stati ricoverati i gatti, che di cognome fa De Mundo, sarebbe la sorella della commissario capo della Polizia Locale Dimundo. Il delirio da passerella fa perdere lucidità. In tutti i discorsi postati finora, in attesa della sua venuta manco fosse il Messia, non ho ascoltato un solo riferimento alla famiglia, evidentemente con grossi problemi, che accudiva i gatti. Sì, perché a modo loro i gatti erano accuditi. Ai componenti di quella famiglia adesso va tutta l’attenzione, il sostegno.

I gatti, infatti, sono in una stanza di circa 70 metri quadri in attesa di essere visitati, sterilizzati e vaccinati prima di essere dati in adozione. Insomma, una soluzione temporanea e certificata dalla Asl di Bari. Molti degli animali, infatti, sono già stati richiesti da numerosi cittadini. Ai gatti, che vivevano per strada o in campagna prima di essere raccolti e portati in casa, sono state destinate ingenti risorse pubbliche. Tra accalappiamento, sterilizzazione, vaccini e compagnia postando, si spenderà circa 150 euro ciascuno. Secondo l’ultimo calcolo, lo ricordiamo, sarebbero stati 65.

La stanza è di appena 70 metri quadri, persino più piccala dell’appartamento in cui erano detenuti in condizioni igieniche pietose in compagnia di cinque persone. Rizzi non lo può sapere perché, al netto di qualche immagine, in quella casa non ci è mai entrato, non ha respirato l’odore di pipì, non ha visto le condizioni degli arredi e dei muri, non ha ascoltato la disperazione degli inquilini, ma soprattutto non ha avuto modo di parlare con Katia, sua sorella e suo fratello, con il ‘papà e con la mamma, deceduta durante il paziente racconto delle varie fasi di questa storiaccia. Non ha neppure rischiato di essere aggredito né ha dovuto spiegare a muso duro le sue ragioni alle autorità.

Rizzi è convinto, verrà comunque a Bitonto per andare dai Carabinieri a presentare un esposto. Speriamo che la sua presenza sia costante anche in futuro, in modo da documentare le sorti dei gatti e della famiglia nel corso dei mesi futuri. Un lavoro faticoso e certamente meno appariscente rispetto alla visibilità che si può avere entrando in gamba tesa sul finire di una storia. Può darsi che ci siano delle responsabilità, oppure no. Qualcuno può aver sbagliato, di sicuro l’unico che non ha finora commesso errori è proprio Rizzi, essendosi interessato della questione con netto ritardo rispetto alla risoluzione individuata dalle istituzioni. Non sappiamo se il Sindaco di Bitonto alla fine risponderà con una dichiarazione ufficiale a tutte le accuse mosse finora, ma di sicuro Rizzi dovrà essere trattato come un qualunque altro cittadino che chiede spiegazioni, con il sacrosanto diritto di averle nei tempi e nei modi previsti.