Imbavagliato, incappucciato e legato al tavolo: confermati tre ergastoli per l’omicidio Montinaro – NOMI

La Corte d’assise d’Appello di Lecce ha confermato il verdetto di primo grado per l’omicidio di Donato Montinaro, il falegname in pensione di Castri (Lecce) trovato senza vita in casa l’11 giugno 2022 percosso, legato e incappucciato, vittima di una rapina.

I giudici (presidente Teresa Liuni) hanno inflitto tre ergastoli e una condanna a 27 anni per i quattro imputati, accusati di omicidio volontario aggravato in concorso.

Ergastolo dunque confermato per Patrizia Piccinni, 49 anni di Alessano, con isolamento diurno di 18 mesi; per Angela Martella, 59 anni di Salve, con isolamento diurno per un anno; e per Emanuele Forte, 32 anni di Corsano con isolamento diurno per un anno.

Ventisette anni sono invece stati inflitti ad Antonio Esposito, 40 anni di Corsano, a cui sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche in quanto considerato l’unico ad aver collaborato all’accertamento della verità e ad aver mostrato un reale pentimento. Per tutti è stata disposta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Omicidio Carvone a Brindisi: ergastolo al 28enne Giuseppe Ferrarese. Isolamento diurno di 6 mesi

Giuseppe Ferrarese, 28enne di Brindisi, è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno di sei mesi con l’accusa di aver ucciso il 19enne Giampiero Carvone nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2019 in via Tevere.

La vittima fu freddata con diversi colpi di pistola calibro 7,65 alla testa, all’origine dell’omicidio, secondo l’accusa, la volontà di punire Carvone per non avere rispettato i codici mafiosi. Il 19enne avrebbe parlato in un caso con un pregiudicato del rione facendo i nomi dei complici con cui aveva rubato un’auto. Tra questi anche lo stesso Ferrarese.

Le accuse nei suoi confronti erano di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, che è stata esclusa dalla sentenza, oltre che dai motivi futili e abietti e dall’agevolazione dell’associazione mafiosa.

Una condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione, con interdizione di 5 anni dai pubblici uffici, è stata poi inflitta a Orlando Carella, 55enne di Brindisi accusato di favoreggiamento e intralcio alla giustizia, con l’aggravante del metodo mafioso.

Si sarebbe avvicinato all’ex fidanzata di Ferrarese con l’invito di coprirlo nelle testimonianze. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro tre mesi, successivamente i difensori potranno proporre appello.

Omicidio Cosimo Nardelli a Taranto, il fratello Tiziano e Paolo Vuto condannati all’ergastolo: altre due pene

La Corte d’assise di Taranto (presidente Filippo Di Todaro, a latere Loredana Galasso) ha inflitto quattro condanne, due delle quali alla pena dell’ergastolo, per l’omicidio di Cosimo Nardelli, il 61enne pregiudicato ucciso il 26 maggio 2023 con due colpi di pistola al torace davanti alla sua abitazione in via Cugini 7.

Carcere a vita per Paolo Vuto e Tiziano Nardelli (fratello della vittima) ritenuti rispettivamente organizzatore e mandante dell’omicidio. La Corte ha inoltre condannato a 30 anni Cristian Aldo Vuto (figlio di Paolo), ritenuto l’esecutore materiale del delitto, e a 25 anni il cugino Francesco Vuto, che guidava la moto su cui viaggiava il killer.

E’ stata esclusa l’aggravante del metodo mafioso. Secondo l’ipotesi dell’accusa Tiziano Nardelli avrebbe ordinato la morte del fratello per contrasti sorti nella gestione di una cooperativa agricola.

Per altri due imputati, accusati di tentato omicidio e detenzione di arma da fuoco, è stata disposta la condanna a 18 e 2 anni. Cosimo Nardelli era uscito da poco dal carcere dove aveva scontato 17 anni di reclusione in seguito alla condanna per concorso nell’omicidio del 27enne Alessandro Cimoli, ammazzato con alcune coltellate il 31 agosto del 2006 all’uscita di una masseria abbandonata nelle campagne tra Faggiano e Talsano. I pm Milto Stefano De Nozza e Francesco Sansobrino avevano chiesto l’ergastolo per Tiziano Nardelli e Paolo Vuto, 28 e 26 anni per i due cugini Vuto.

Imprenditori uccisi 24 anni fa a Brindisi: carcere a vita per i fratelli Enrico e Cosimo Morleo

Sono stati condannati alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, rispettivamente della durata di un anno e tre anni, i fratelli Enrico e Cosimo Morleo, di 58 e 59 anni, accusati di avere ucciso a Brindisi, con l’aggravante del metodo mafioso, gli imprenditori Salvatore Cairo e Sergio Spada, entrambi attivi nel settore del commercio delle pentole e degli articoli per la casa.

I giudici della Corte d’assise di Brindisi hanno assegnato a titolo di provvisionale “immediatamente esecutiva” 1,5 milioni di euro in favore dei parenti delle vittime. I resti di Salvatore Cairo, scomparso il 6 maggio di 24 anni fa, sono stati trovati in un pozzo della zona industriale della città il 20 dicembre dell’anno scorso. Era stato uno dei due fratelli, Enrico Morleo, a dichiarare nel corso dibattimento celebrato davanti alla Corte di assise di aver “fatto a pezzi” il cadavere di Cairo, ma di non averlo ucciso. Il corpo di Sergio Spada fu trovato invece il 19 novembre 2001, poche ore dopo la scomparsa, nel piazzale di un’area di servizio dismessa sulla tangenziale di Brindisi. Secondo la Procura di Brindisi, che per i due fratelli aveva chiesto l’ergastolo, Enrico sarebbe stato l’esecutore materiale di entrambi gli omicidi, mentre il fratello Cosimo il mandante in quanto avrebbe voluto liberarsi di due concorrenti nei suoi affari legati alla vendita di articoli per la casa.

Mafia a Bari, omicidio Rafaschieri a Carbonara. Dall’ergastolo a 20 anni: sconto di pena per Giovanni Palermiti

Sconto di pena in appello per Giovanni Palermiti e Filippo Mineccia, imputati per l’agguato mafioso del 24 settembre 2018, a Bari, in cui fu ucciso Walter Rafaschieri e ferito suo fratello Alessandro. La Corte d’Assise d’Appello di Bari ha ridotto a 20 anni la condanna per Palermiti, condannato all’ergastolo in primo grado, e a 18 anni per Mineccia (20 anni in primo grado). Nei confronti di Palermiti è stata esclusa l’aggravante della premeditazione e sono state riconosciute le attenuanti generiche. Palermiti, figlio del boss del quartiere Japigia di Bari Eugenio, è considerato dagli inquirenti l’organizzatore e l’esecutore del delitto. Sconto di pena anche per il collaboratore di giustizia Domenico Milella, condannato dai giudici di secondo grado a otto anni di reclusione (da nove anni e quattro mesi).

I giudici hanno anche disposto l’esclusione del Comune di Sammichele di Bari tra le parti civili: nell’inchiesta era coinvolto anche l’ex comandante della polizia locale di Sammichele, Domenico D’Arcangelo, accusato di aver fornito un alibi a Palermiti inducendo una vigilessa a redigere una multa falsa nei suoi confronti, in modo da attestare la presenza di Palermiti in un altro luogo rispetto a quello dell’omicidio. In primo grado era stato condannato a cinque anni.

Bari, omicidio Domenico Capriati a Japigia. Due condanne: ergastolo per Domenico Monti e Maurizio Larizzi

La Corte d’assise di Bari (presidente Michele Parisi) ha condannato alla pena dell’ergastolo Domenico Monti e Maurizio Larizzi, entrambi esponenti storici del clan mafioso Capriati di Bari Vecchia, per l’omicidio premeditato, compiuto il 21 novembre nel 2018 nel rione Japigia di Bari, di Domenico Capriati, nipote del capoclan Tonino (in cella da anni) e fratello di Filippo, all’epoca dei fatti reggente del gruppo mafioso.

I giudici hanno accolto la ricostruzione accusatoria del pm della Dda di Bari Federico Perrone Capano, che ha compiuto le indagini assieme al procuratore aggiunto Francesco Giannella. Stando all’ipotesi accusatoria della Dda, la vittima sarebbe stata uccisa con dodici colpi di mitraglietta e “il colpo di grazia” alla testa, mentre era sotto casa, nel quartiere Japigia, con moglie e figlio.

Larizzi, hanno ricostruito le indagini della Squadra mobile, non avrebbe accettato il tentativo di Domenico Capriati, da poco scarcerato e definito da molti come “uno con la guerra in testa”, di assumere un ruolo egemone nel clan. Uscito dal carcere gli avrebbe fatto anche una richiesta estorsiva di 5 milioni di euro perchè, mentre lui era detenuto, Larizzi “facendo la malavita” aveva continuato a fare affari con la droga. Da qui la decisione di Larizzi e Monti di eliminare il ‘rivale’.

Omicidio a Manduria, Natale Bahtijari ucciso e gettato in una scarpata: un ergastolo e 3 condanne – I NOMI

La corte d’assise di Taranto (presidente Filippo Di Todaro, a latere Loredana Galasso e sei giudici popolari) ha condannato quattro imputati, tre dei quali accusati di omicidio volontario, nel processo per la morte di Natale Naser Bahtijari, il 21enne nato a Campi Salentina, di etnia rom, ucciso la notte tra il 22 e il 23 febbraio 2023 a Manduria e gettato sotto un cavalcavia della via vecchia comunale che conduce ad Oria (Brindisi). Il movente sarebbe da ricondurre a un regolamento di conti legato allo spaccio di droga.

Ergastolo per Vincenzo Antonio D’Amicis, 27 anni di reclusione per Simone Dinoi e 25 anni per Domenico D’Oria Palma. I tre rispondono di concorso in omicidio pluriaggravato dai motivi futili, dall’avere agito con crudeltà e dal metodo mafioso; di tentata distruzione e/o soppressione di cadavere; di concorso in porto in luogo pubblico di armi da punta e da taglio; di detenzione illegale e ricettazione di arma e relativo munizionamento. Dieci anni di carcere sono stati inflitti al nonno di D’Amicis, Vincenzo Stranieri, ex boss della Sacra corona unita, soprannominato “stellina”, accusato (assieme al nipote) della rapina dell’auto con la quale Bahtjari si era recato a Manduria.

Secondo l’accusa, avrebbe raggiunto la vettura Fiat 500 con a bordo le due ragazze che accompagnarono la vittima, costringendole a lasciare il mezzo e a consegnare loro le chiavi, con frasi minacciose (“scendete dalla macchina o vi sparo in testa”). A D’Amicis e Dinoi è contestato inoltre l’acquisto e la detenzione di sostanza stupefacente e al primo anche il furto aggravato. Il pm Milto Stefano De Nozza della Dda di Lecce aveva chiesto la condanna all’ergastolo per Vincenzo Antonio D’Amicis, 28 anni di reclusione per Simone Dinoi, 26 anni per Domenico D’Oria Palma e 12 anni per Vincenzo Stranieri.

Era stato già condannato a 4 anni di reclusione con rito abbreviato il fratello della vittima, Suad Bahtijari, accusato di aver ceduto 100 grammi di cocaina ai principali imputati. Aveva invece patteggiato un anno e quattro mesi di reclusione con pena sospesa il titolare del pub di Manduria accusato di favoreggiamento perché, secondo l’accusa, avrebbe disattivato l’impianto di videosorveglianza dell’attività e ripulito con la candeggina le tracce di sangue lasciate dalla vittima all’interno del locale dopo il pestaggio.

Bari, omicidio Capriati a Japigia: chiesto l’ergastolo con isolamento diurno per Domenico Monti e Ignazio Larizzi

Il pm antimafia Federico Perrone Capano ha chiesto l’ergastolo con isolamento diurno per Domenico Monti e Ignazio Larizzi, con l’accusa di essere rispettivamente l’esecutore materiale e il mandante dell’omicidio di Mimmo Capriati. Il 21 novembre 2018 il boss fu sorpreso alle spalle nei pressi della sua abitazione in via Archimede e fu raggiunto da tre colpi di mitra. Morì il giorno dopo in ospedale.

Il 3 febbraio del 2021 furono arrestati Domenico Monti, Ignazio Larizzi e Christian De Tullio (scarcerato e assolto un anno dopo). Ieri pomeriggio si è celebrata l’udienza dinanzi alla Corte d’Assise a Bari e dopo 8 ore di requisitoria il pm ha avanzato la sua richiesta di condanna. Sono stati anche mostrati alcuni disegni realizzati da un condomino, conoscente della vittima, che riproducono l’agguato e che sono stati fondamentali nel corso delle indagini, così come le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

Domenico Monti, detto Mimmo u biund, è stato uno storico affiliato al clan Capriati ma i rapporti con il boss Mimmo erano da tempo deteriorati. La vittima era uscita da poco dal carcere dove, in regime di 41 bis, aveva scontato 16 anni di reclusione. La sentenza è attesa il 27 settembre prossimo, il 19 saranno ascoltate le difese e sarà dato spazio alle repliche della Dda.

Ex maresciallo ucciso davanti al figlio di 11 anni: confermato l’ergastolo per il 72enne Michele Aportone

I giudici della Corte d’Assise di Appello di Lecce hanno confermato ieri la condanna all’ ergastolo, con isolamento diurno per un anno, inflitta in primo grado a Michele Aportone, il 73enne di San Donaci (Brindisi) accusato dell’omicidio del maresciallo dei carabinieri in pensione Silvano Nestola, 45 anni, ucciso a fucilate la sera del 3 maggio 2021 a Copertino. La Corte, presidente dott.ssa Liuni, ha confermato l’aggravante della premeditazione e dei futili motivi.

Accolta la richiesta avanzata dal pg Salvatore Cosentino. Il delitto avvenne nei pressi dell’abitazione della sorella del 45enne davanti al figlio di 11 anni. Secondo l’accusa Aportone avrebbe ucciso l’ex carabiniere perché contrario alla relazione che l’uomo aveva con sua figlia. Il 73 enne è detenuto nella Casa circondariale di Lecce e si è sempre dichiarato innocente.

Lequile, ex bancario ucciso davanti alla moglie: ergastolo confermato per uno dei due killer

La Corte di Cassazione (prima sezione penale) ha confermato la condanna all’ergastolo nei confronti di Paulin Mecaj, il 33enne esecutore materiale dell’omicidio dell’ex bancario Giovanni Caramuscio, di 69 anni, assassinato con due colpi di pistola durante un tentativo di rapina la sera del 16 luglio 2021 a Lequile (Lecce), mentre stava prelevando contanti dallo sportello bancomat insieme alla moglie. E’ stata invece annullata con rinvio la condanna all’ergastolo per il presunto complice, Andrea Capone, di 30 anni, accusato in concorso dell’omicidio.

Gli ermellini hanno rinviato gli atti ai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Taranto ma solo per decidere sull’annullamento delle attenuanti generiche, che permetterebbe all’imputato una possibile riduzione di pena. Nei confronti di Mecaj è stato infine annullato l’isolamento diurno per 1 anno. I due, accusati di omicidio volontario, rapina aggravata e porto abusivo di arma, erano stati condannati al carcere a vita dai giudici della Corte d’Assise di Lecce con la sentenza confermata in Appello. Capone ha sempre dichiarato di essere all’oscuro del fatto che Mecaj fosse armato.