Uccide la figlia di 3 mesi, 36enne di Altamura condannato a 29 anni: “Non è affetto dalla sindrome di Munchausen”

Giuseppe Difonzo, il 36enne condannato dalla Corte d’Assise d’Appello di Bari a 29 anni di carcere per aver soffocato la bambina di tre mesi, non era affetto dalla sindrome di Munchausen, il disturbo psicologico per cui le persone affette fanno del male ad altri per attirare l’attenzione su di sé. Questo è quanto si legge nelle motivazioni depositate della sentenza dai giudici. Secondo le indagini avrebbe soffocato la figlia durante un ricovero in ospedale. Il 3 dicembre è fissata la scadenza per presentare ricorso in Cassazione.

Contromano sotto effetto di droga e alcol uccise il 23enne Andrea Maggio: in appello pena più che dimezzata

La 39enne di Trepuzzi che il 19 giugno 2019 travolse con la propria auto lo scooter guidato dal 23enne Andrea Maggio, all’altezza dell’incrocio tra le strade provinciali 296 e 100, in territorio comunale di Trepuzzi, ha ricevuto uno sconto di pena di 6 anni.

Da 10 anni a 4 anni di reclusione, la Corte d’Appello di Lecce ha ridotto la condanna inflitta in primo grado escludendo tutte le aggravanti. La donna viaggiava contromano e risultò positiva ad alcol e cannabinoidi. In più è stato riconosciuto anche un concorso di colpa della giovane vittima per la velocità con cui procedeva. Il 23enne studente di medicina di Squinzano stava tornando a casa con la sua Kawasaki quando fu travolto in pieno dalla Fiat Panda condotta dalla donna e che aveva invaso la sua corsia. Trasportato in gravi condizioni in ospedale, Andrea Maggio morì due giorni dopo.

Va precisato che la donna, condannata per omicidio stradale colposo, non ha trascorso alcun giorno in carcere. I genitori invece hanno deciso di costruire sul luogo del tragico incidente una rotatoria ed un parco, con annesso centro per l’educazione stradale, per onorare la memoria del figlio e prevenire future simili tragedie.

Bari, il Tribunale dichiara il fallimento della Soa. Futuro nero per oltre 2000 dipendenti e famiglie

Il Tribunale di Bari, nella giornata di ieri, ha dichiarato il fallimento del consorzio Soa, per anni leader nella logistica pugliese a servizio delle più importanti catene di supermercati del sud Italia. “Alla luce della situazione di insolvenza irreversibile non c’è alcuno spazio per la tutela della continuità aziendale”, scrivono i giudici della Quarta sezione civile che hanno accolto la richiesta della Procura per la liquidazione giudiziale.

“La realtà produttiva di Soa e delle cooperative consorziate è improntata a un modello di business che, sotto le mentite spoglie del contributo consortile, cela un indebito ribaltamento di costi”, la tesi della Procura che la società ha cercato di ribaltare e contestare senza successo davanti ai giudici civili. Alla base della sentenza le trattative non andate a buon fine con i creditori che avrebbero dovuto portare al rientro dell’esposizione debitoria e la capacità apparente di generare margini attraverso l’attività di impresa in quanto basata su “un indebito ribaltamento di costi” sulle cooperative chiuse nel tempo.

Una vicenda triste che riguarda oltre 2mila dipendenti. Cosa succede ora? Dopo la dichiarazione di fallimento si aprirà la strada che porta alla contestazione del reato di bancarotta e quindi all’apertura di un fascicolo bis. La Soa era finita nei guai da mesi dopo essere stata colpita assieme alle cooperative Mida, Lexlab e Agon, da un maxi sequestro totale di 60 milioni di euro, ritenuto profitto dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, per gli anni d’imposta dal 2016 al 2021, nonché di omesso versamento dell’IVA risultante dalle dichiarazioni annuali, con riferimento a taluni periodi d’imposta. L’inchiesta ha colpito i dipendenti che stanno pagando sulla propria pelle le conseguenze delle scelte dell’azienda. Erano già stati avviati i primi licenziamenti e la procedura di Fis (Fondo d’integrazione salariale) per 60 dipendenti, è per mesi gli stipendi non sono stati riconosciuti.

Armi da guerra, la perizia psichiatrica: “L’ex giudice barese De Benedictis capace di intendere e di volere”

L’esito è stato depositato nei giorni scorsi e oggi, a mezzogiorno, è in programma una nuova udienza del processo. I giudici della Corte d’appello di Lecce sono chiamati a confermare o meno la condanna a 12 anni e 8 mesi di reclusione inflitta in primo grado.

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