Femminicidio a Gravina, il gip si riserva sulla convalida del fermo di Lacarpia: all’udienza nessun avvocato

Si è tenuta nel carcere a Bari l’udienza di convalida del fermo di Giuseppe Lacarpia, il 65enne di Gravina in Puglia (Bari) in cella da lunedì con l’accusa di aver ucciso la moglie di 60 anni, Maria Arcangela Turturo. L’udienza davanti alla gip Valeria Isabella Valenzi si è svolta solo in tarda mattinata e per Lacarpia – attualmente ricoverato al Policlinico di Bari per le conseguenze di una caduta dal letto della sua cella, il suo interrogatorio è stato per questo rinviato – non era presente né un avvocato d’ufficio né un legale di fiducia, così come non era presente la pm titolare del fascicolo.

Alla breve udienza ha dunque assistito un altro avvocato, in quel momento in carcere per le udienze di convalida dell’arresto di altri suoi clienti. La gip si è riservata sulla decisione.

Femminicidio a Gravina, Lacarpia è ricoverato al Policlinico: slitta l’interrogatorio per legittimo impedimento

Si farà in assenza del fermato l’udienza di convalida di Giuseppe Lacarpia, il 65enne di Gravina in Puglia (Bari) in carcere da lunedì con l’accusa di omicidio volontario – aggravato e premeditato – della moglie, Maria Arcangela Turturo. Lacarpia, che ha nominato un nuovo avvocato di fiducia (il legale nominato inizialmente, Gioacchino Carone, ha rinunciato all’incarico per assumere la difesa dei quattro figli della coppia) si trova ricoverato da ieri nel Policlinico di Bari, dove è stato trasportato in seguito a una caduta avvenuta nella sua cella. Il suo interrogatorio è stato quindi rinviato per legittimo impedimento.

Femminicidio a Gravina, Lacarpia dal gip. Oggi la convalida del fermo: “Volevo salvare mia moglie non ucciderla”

È fissata questa mattina l’udienza di convalida del fermo del 65enne Giuseppe Lacarpia, accusato dell’omicidio premeditato della moglie, la 60enne Maria Arcangela Turturo, avvenuto nella notte tra domenica e lunedì dopo una festa di compleanno a Gravina. Fino a poche ore fa era ricoverato al Policlinico di Bari dopo aver tentato di togliersi la vita in carcere.

Secondo quanto ricostruito dall’accusa, l’uomo avrebbe tentato prima di bruciarla viva e poi di soffocarla con la forza dei suoi cento chili, rompendole le ossa della cassa toracica e strozzandole a mano nude, il cuore. Lei è morta dopo essere arrivata in ospedale e aver rivelato quanto le era accaduto. “Mi voleva uccidere”, ha sussurrato con un filo di voce prima di morire. A incastrarlo sono state le ultime parole proferite dalla vittima e un video lungo 15 secondi, in cui il delitto è stato registrato in tutta la sua efferatezza.

Secondo la sua ricostruzione, Lacarpia avrebbe tentato di salvare e non di uccidere la moglie, soffocandola nel tentativo di rianimarla. Questo verrà ribadito nell’udienza di oggi, sarà accompagnato da un nuovo avvocato dopo che il suo legale ha rinunciato all’incarico per difendere i suoi 4 figli nel processo. Troppi indizi però lo smentiscono. A partire dai graffi sul volto dell’uomo, segno della difesa della vittima, passando ai racconti della figlia sui maltrattamenti e sulle violenze del padre, fino all’autopsia eseguita ieri. “Sono presenti multiple lesività riconducibili ad azione contusiva ed in parte all’azione della fiamma – si legge nel primo referto – Integrando l’esito della preliminare ispezione cadaverica con il referto della Tac total body (plurime fratture costali anteriori scomposte ed incassate verso il parenchima, a partire dalla III costa anteriormente a destra e dalla II costa a sinistra. In quest’ultima sede le fratture costali determinano compressione sul cuore, frattura del corpo dello sterno che appare incassato verso il parenchima) è possibile ritenere che abbiano concorso il grave traumatismo antero-posteriore sterno-costale e la progressiva anemizzazione in paziente in terapia antiaggregante e anticoagulante”.

I Vigili del Fuoco hanno anche ipotizzato da una prima analisi che l’incendio della macchina sia stato doloso, con lo spargimento di una sostanza liquida infiammabile. Ulteriori elementi potrebbero arrivare dall’analisi della scatola nera dell’auto che non è stata fortunatamente distrutta dalle fiamme.

Femminicidio a Gravina, tentato suicidio in carcere: Lacarpia ricoverato al Policlinico di Bari

Giuseppe Lacarpia, l’uomo di 65 anni fermato con l’accusa di aver ucciso la moglie Maria Arcangela Torturo, è ricoverato al Policlinico di Bari. Questa mattina ha tentato di togliersi la vita in carcere.

Lacarpia risponde di omicidio volontario premeditato. Sua moglie stata massacrata dal peso violento del suo corpo. L’uomo avrebbe tentato prima di bruciarla viva e poi di soffocarla con la forza dei suoi cento chili, rompendole le ossa della cassa toracica e strozzandole a mano nude, il cuore. Lei è morta dopo essere arrivata in ospedale e aver rivelato quanto le era accaduto. “Mi voleva uccidere”, ha sussurrato con un filo di voce prima di morire.

Gravina, uccisa a mani nude dal marito: l’omicidio brutale di Maria Arcangela ripreso da 3 testimoni in un video

Due boccioli di rosa legati con una nastro rosa. Petali rossi come le macchie che puntellano un pezzo di strada vicinale dei Pigni, alla periferia di Gravina in Puglia, nel Barese. I fiori, il manto stradale bruciato. Li, Maria Arcangela Turturo, 60 anni e una vita fatta di lavoro e famiglia, è stata massacrata dal peso violento del corpo del marito. Che avrebbe tentato prima di bruciarla viva e poi di soffocarla con la forza dei suoi cento chili, rompendole le ossa della cassa toracica e strozzandole a mano nude, il cuore. Lei è morta dopo essere arrivata in ospedale e aver rivelato quanto le era accaduto. “Mi voleva uccidere”, ha sussurrato con un filo di voce prima di morire. Lui, Giuseppe Lacarpia, 65enne allevatore di bestiame da latte, è finito in manette. Sulle spalle un’accusa pesante: omicidio volontario premeditato. A incastrarlo sono state le ultime parole proferite dalla vittima e un video lungo 15 secondi, in cui il delitto è stato registrato in tutta la sua efferatezza. È successo la notte tra domenica e lunedì dopo una festa di compleanno.

La coppia rientrava a casa, ci sarebbe arrivata di lì a poco se l’uomo – come ricostruito dalle indagini della polizia – non avesse sterzato facendo finire l’auto su cui viaggiava con la moglie contro un muro. Un incidente che in realtà nascondeva un disegno criminale tremendo. Perché il 65enne, affetto da problemi neurologici, avrebbe dato alle fiamme la macchina dopo aver chiuso al suo interno la moglie. Lei, mentre il suo corpo, i suoi abiti e i suoi capelli bruciavano, ha trovato il modo di uscire dall’abitacolo. Claudicante e ustionata, ha cercato di fuggire da un destino che temeva. “Mi ucciderà”, aveva detto Maria Arcangela a una delle sue figlie qualche settimana fa. E ieri ci è riuscito. Perché mentre lei provava a mettersi in salvo, lui l’ha raggiunta e con forza brutale è saltato addosso schiacciandole, con le ginocchia e con le mani, costole e sterno. Lei urlava e lui la sopprimeva. A raccontarlo anche un filmato registrato da una coppia di fidanzati e da una terza persona, spaventati da un’auto che sputava fiamme.

“Ma che stai facendo?”, le parole che la giovane ragazza indirizzava al 65enne. Che dietro le sbarre ci era già finito più di dieci anni fa per aver provato ad accoltellare a morte uno dei suoi figli. “Mi voleva togliere davanti”, ha detto con difficoltà Arcangela a chi le puntava addosso il cellulare. “Mi voleva uccidere. Mi ha messo le mani alla gola”, ha ripetuto alla figlia quando è arrivata in ospedale. Poche parole bisbigliate, tra atroci squarci nel corpo che non le hanno lasciato scampo. La 60enne è morta in una sala del pronto accorso dell’ospedale di Altamura. In un ambulatorio vicino, i medici medicavano il marito: i graffi sul volto, segni del disperato tentativo di salvarsi della moglie. Le violenze non erano sconosciute nella casa in cui viveva la famiglia. Lo ha confermato agli inquirenti, anche una delle figlie della coppia. “Era violento, si ammazzavano di botte”, ha messo a verbale spiegando che le aggressioni erano iniziate quando i conti dell’azienda paterna, specializzata nell’allevamento di mucche e produzioni casearie, erano segnati dal rosso. “Da allora sono iniziati i litigi – ha riferito la figlia – e nel 2009 mamma, presa dalla disperazione, ha dato fuoco al trattore di papà”.

Arcangela aveva provato a salvarsi anche in passato. Litigava col marito e si rifugiava dalle figlie. A casa loro passava dieci giorni e poi tornava da lui. “Stava da me o da mia sorella dieci giorni e poi rientrava a casa”, ha continuato una delle figlie. In ospedale era finita già altre tre volte per le botte del marito. “Mia madre continua a preoccuparsi di lui”, ha aggiunto la figlia parlando con chi indaga. Un uomo con un passato fatto di condanne per reati contro il patrimonio e la persona e che nella mente di ha soccorso sua moglie, è sembrato un anziano seduto sul ciglio della strada accanto a una moglie moribonda di cui custodiva la borsetta.