È arrivato il momento di conoscere la storia di Giuseppe, il clochard che ci ha contattato per ricevere il nostro aiuto. Gli avevamo consegnato un nuovo cellulare, ma iniziamo col dire che ci ha mentito. Giuseppe non ha 57 anni, ne ha 42.
Continue readingBari, il pentito Domenico Milella arrestato a Genova per droga: la Commissione gli revoca la protezione
Il nome di Domenico Milella, ex braccio destro di Eugenio Palermiti a Japigia diventato nel tempo collaboratore di giustizia, a novembre è comparso nella lista delle persone arrestate nell’ambito di un’operazione condotta dalla polizia di Genova che ha smantellato un’organizzazione criminale e un vasto traffico di sostanze stupefacenti ramificato in 5 regioni italiane, tra cui la Puglia, e in Spagna.
Milella è stato fondamentale con le sue dichiarazioni nelle ultime inchieste più importanti dell’antimafia a Bari e dal 2020 viveva in una località protetta insieme alla sua famiglia. È rimasto coinvolto nell’episodio relativo a una presunta compravendita di stupefacenti nei pressi di un supermercato, degenerata poi in un tentativo di rapina da parte degli acquirenti. Secondo le indagini Milella avrebbe fatto parte di un gruppo criminale, in cui sono anche altri pugliesi, e operativo in Liguria nell’ambito della vendita e cessione di stupefacenti.
E ora la Commissione centrale di protezione, ovvero l’organo che si occupa proprio della definizione e applicazione delle speciali misure di protezione per i testimoni e i collaboratori di giustizia, ha disposto la revoca del programma speciale al quale era sottoposto con la sua famiglia.
Il provvedimento è stato notificato in carcere dove si trova il 44enne. Ora avrà a disposizione 60 giorni di tempo per impugnare davanti agli organi della giustizia amministrativa il provvedimento. A riportarlo è La Gazzetta del Mezzogiorno.
Concorsi truccati, assunzioni dei politici e sindacato nelle mani del clan: il pentito inguaia l’Amtab e Decaro
Concorsi truccati, sindacato controllato dai clan e assunzioni legate al mondo della politica. L’Amtab finisce ancora nella bufera dopo le dichiarazioni del pentito Nicola De Santis, ex autista dell’azienda del trasporto pubblico barese vicino al clan Capriati di Barivecchia, nell’ambito della maxi inchiesta Codice Interno. Si parte dal concorso del 2008 per autisti, su cui la Procura di Bari ha anche avviato due indagini poi archiviate, per garantire l’assunzione di Massimo Parisi, il fratello del boss Savinuccio di Japigia che nel 2009 è sceso in campo per la campagna elettorale al Comune.
“Tre, quattro giorni prima del concorso, che era lì, nelle aule universitarie di via Re David, l’ex direttore Nunzio Lozito è andato a Roma, allo Studio Staff, c’aveva una lista di chi doveva entrare, perché erano il primo e il secondo gruppo. Il primo gruppo sono entrati tutti, ma alcuni di questi avevano già le domande, diciamo le schede in cui rispondere, invece ad altri hanno cambiato il codice a barre. Io sono andato al secondo piano, adesso non ricordo bene, le schede erano buttate su un tavolo e il codice a barre si spostava da una scheda all’altra. Alcuni che hanno dato la risposta sbagliata si è ritrovato con quella corretta, e viceversa, dopo che sono state scambiate le schede”, le parole di De Santis agli inquirenti della Dda. “Prima che avveniva il concorso a Massimo Parisi fu garantito che lui a quel concorso l’avrebbe superato perché dovevano fare la campagna all’epoca a Giorgio D’Amore alla circoscrizione di Japigia e Torre a Mare e all’ex sindaco Decaro. Chi procacciava voti? Michele De Tullio, tutti quanti, ma anche noi. Solo che noi, diciamo la mia famiglia all’epoca, anziché votare Decaro, ha votato a Elio Sannicandro e mio fratello, infatti, al concorso è stato scartato, pure se aveva lavorato per tanto tempo con l’agenzia interinale – le parole di De Santis riportate da La Gazzetta del Mezzogiorno -. Mi sa che Giorgio D’Amore prese sette-ottomila, novemila voti, e si vantava di questi 2mila voti che avevano dato a Japigia e Torre a Mare”.
Si torna a parlare del presunto incontro a Torre a Mare con l’ex sindaco di Bari, Antonio Decaro. “All’epoca diciamo che noi ci siamo incontrati a Torre a Mare, subito dopo, prima del concorso, c’è stata la campagna elettorale. E in quel periodo là, Michele De Tullio, Tommaso Lovreglio, Massimo Parisi, si sono dati da fare per procacciare i voti – aggiunge -. Massimo, diciamo, quando ha fatto il concorso era già attento perché prima della campagna elettorale, noi abbiamo avuto un incontro a Torre a Mare, con l’ex sindaco di Bari, Antonio Decaro, c’era Giorgio D’Amore (un altro politico) e c’erano altri, e stavamo io, Michele De Tullio e Massimo. Massimo all’epoca era già sicuro che entrava, perché Michele De Tullio disse: ‘Massimino sta già dentro, abbiamo più di duemila voti'”.
“All’epoca, nel 2004, ci siamo iscritti a una agenzia interinale. All’epoca si chiamava Ergoline, era un’azienda campana. Ci siamo iscritti là e abbiamo iniziato a lavorare. Io sono entrato nei trasporti disabili. Diciamo, la chiamata all’agenzia viene sempre dai vertici aziendali, all’epoca era il presidente Savino Lasorsa che dava la lista e chiamavano sempre le stesse persone – continua De Santis -. Pure se all’agenzia eravamo iscritti 50 autisti, alla fine lavoravamo in 7-8 persone. Io sono entrato tramite politica, ma anche qualcuno che appartiene al clan è stato iscritto all’agenzia con la forza, minacciando i vertici. Anche prima del 2004, sulle autogrù che gestivano i vigili urbani di Bari, sono entrati i fratelli Lafirenze, Franco Gaetano diciamo tutte persone… Con la forza, diciamo, hanno minacciato il presidente Savino Lasorsa e sono stati assunti. Nel 2008-2009 è stato fatto un concorso di parecchi autisti e lì, diciamo, chi ha lavorato prima con l’agenzia aveva un punteggio, diciamo, superiore rispetto ad altri. Là funziona così: là all’agenzia interinale si iscrive chiunque, va all’agenzia e si iscrive. Ma poi, da su all’azienda, fanno la richiesta di 15 nominativi e dicono: ‘Mi devi mandare Tizio, Caio e Sempronio’. Capito? Gli altri non lavoreranno mai”.
Ma non finisce qui perché dopo le assunzioni le persone vicine ai clan riuscivano a scalare posizioni all’interno. “A me e Parisi da subito ci hanno messo nel direttivo, per avere permessi sindacali, senza votazione, senza niente. In alcuni sindacati c’eravamo noi, e in altri minori non c’era nessuno. E quindi, prevaleva sempre quel sindacato – ha aggiunto De Santis -. All’epoca non avevamo il premio di produzione, 2002, 2003, il premio produzione a livello nazionale fu eliminato ai nuovi assunti, ai 140. Come entrammo noi, e anche subito dopo, abbiamo iniziato a far leva, Massimo è entrato e non aveva il premio di produzione, ha iniziato a far leva ai segretari di fare un tavolo con l’azienda, e all’epoca facemmo l’accordo con Lozito, di emettere questo premio di produzione a tutti i lavoratori. Ha fatto leva su Piero Venneri e anche su altri, poi ha fatto leva anche su sindacalisti, segretari e aziendali. Piero doveva parlare con Lozito (ndr, l’allora presidente) e far riconoscere questo premio anche a loro. Piero ascoltava Massimo perché sapeva che era il fratello di Savino. Il sindacato, a noi, era in via Caldarola, a Japigia. Stavo nel direttivo anche io”.
Incontro con il fratello del boss, lo sfogo di Decaro dopo le parole del pentito: “Viene voglia di lasciare la politica”
“Non sono tranquillo. Perché questo è un incubo. Sì, un incubo che sto vivendo di nuovo. Non sono e non sarò tranquillo finché queste accuse mi continueranno a sporcare come persona e come uomo politico. La politica, ecco. In certi momenti mi viene voglia di abbandonarla. Per tornare a fare l’ingegnere dell’Anas. Forse è l’unico modo per far sì che smettano di calunniarmi”.
Questo è lo sfogo social dell’ex sindaco di Bari, Antonio Decaro, dopo le dichiarazioni rese ieri in Aula dal collaboratore di giustizia Nicola De Santis su un presunto incontro tra lo stesso Decaro e Massimo Parisi, fratello del boss Savinuccio di Japigia.
“Un signore che non conosco dice che in un’epoca imprecisata, 14 o 16 anni fa incontrai il fratello del boss della famiglia Parisi. Nella mia città, davanti a tutti. La cosa è così assurda che dovrebbe lasciarmi tranquillo. Invece no. Non sono tranquillo. Non sono tranquillo per niente – si legge nel post -. Perché stiamo parlando di una questione già archiviata dalla magistratura che all’improvviso rispunta fuori per l’ennesima volta. A questo punto io mi chiedo: cos’altro devo fare ancora per allontanare da me la sporcizia di queste calunnie? Cosa devo fare ancora per non vedere il mio nome accostato alla mafia? Devo ricordare un’altra volta che quelle persone che si dice io abbia incontrato le ho denunciate, io stesso? Devo dire un’altra volta che contro queste persone ho chiesto e ottenuto che il Comune di cui ero sindaco, si costituisse parte civile? Devo ricordare che sono sotto scorta da anni? In tanti mi dicono: ‘stai tranquillo’. E invece no”.
Mafia a Bari, il pentito De Santis in aula: “Il clan controllava l’Amtab tra assunzioni pilotate e concorsi truccati”
Le assunzioni nell’Amtab, la municipalizzata dei trasporti di Bari, avvenivano tramite “agenzia interinale”, dalla quale venivano chiamate “sempre le stesse persone”. “Se negli elenchi dell’agenzia c’erano 50 persone, venivano chiamate sempre quelle 6-7. Era la direzione, o l’ufficio del personale, a dire all’agenzia di mandare” determinate persone. Lo ha detto oggi in aula a Bari il collaboratore di giustizia Nicola De Santis, ascoltato in un’udienza del processo nato dall’inchiesta ‘Codice internò di Dda e squadra mobile di Bari, che ha portato a oltre 130 arresti e ha svelato i presunti legami tra mafia, politica e imprenditoria cittadina.
Il racconto fatto oggi da De Santis si riferisce ai primi anni Duemila (lui fu assunto come autista nel 2004, sempre tramite agenzia interinale): il direttore, ha detto il collaboratore di giustizia, “veniva pressato” per assumere nell’azienda persone vicine ai clan. De Santis ha confermato, come in passato aveva già messo a verbale, che alcuni concorsi per l’Amtab sarebbero stati truccati per favorire l’assunzione di persone vicine ai clan.
Le pressioni, ha spiegato De Santis, venivano fatte anche sull’ex responsabile dell’area sosta di Amtab, per la Dda vittima di estorsione da parte dei clan. “Quando c’erano concerti o eventi era Michele De Tullio (coimputato ritenuto membro del clan Parisi, ndr) a fare le squadre”. Il responsabile, ha aggiunto De Santis, “ubbidiva” alle richieste “perché aveva paura, sapeva che di fronte aveva il clan Parisi. E anche con Massimo (Parisi, fratello del boss Savino e autista Amtab, ndr) andava con i guanti”. Quando il responsabile dell’area sosta “aveva di fronte Massimo”, ha continuato il collaboratore di giustizia, “aveva timore”. “Massimo aveva il suo modo di aggredire, diceva ‘Io non posso andare al Cep, a Carbonara, a Enzitetò (quartieri di Bari, ndr) perché aveva timore che gli facessero un agguato. Lo temeva perché è il fratello di Savino Parisi”. “Quando si stilavano i turni – ha detto ancora – si faceva a rotazione, ma Massimo non ha mai fatto rotazione e non ha mai fatto alcune linee”. L’inchiesta ha portato all’amministrazione giudiziaria dell’Amtab (tuttora in corso) e al licenziamento dei dipendenti ritenuti vicini ai clan, tra cui Massimo Parisi.
Bari, il pentito De Santis inguaia l’ex sindaco Decaro: “Ha incontrato il fratello del boss Savinuccio Parisi”
“Massimo Parisi è entrato (nell’Azienda del trasporto pubblico ndr) per politica, prima del concorso era già dentro. Prima della campagna elettorale abbiamo avuto un incontro elettorale in cui c’era l’ex sindaco Decaro. Il clan Parisi ha procurato voti alla politica, sia per il presidente della circoscrizione che per la campagna elettorale al Comune”. Il collaboratore di giustizia Nicola De Santis ha confermato, oggi in aula a Bari, la sua versione su un presunto incontro che l’ex sindaco di Bari Antonio Decaro avrebbe avuto in passato con Massimo Parisi, fratello del boss di Japigia Savino. Incontro che Decaro ha sempre negato sia avvenuto e su cui la procura di Bari ha indagato decidendo poi di archiviare le indagini. De Santis ne ha parlato in Tribunale in un’udienza del processo nato dall’inchiesta Codice interno, che ha svelato presunti legami tra mafia, politica e imprenditoria cittadina e ha portato la scorsa primavera a 130 arresti e all’invio da parte del Viminale di una commissione d’accesso per verificare eventuali infiltrazioni mafiose nel Comune.
Le dichiarazioni di De Santis sul presunto incontro tra Parisi e Decaro erano già finite nel provvedimento con cui il tribunale di Bari, lo scorso 26 febbraio, ha disposto l’amministrazione giudiziaria per l’Amtab. De Santis, in precedenza, ha collocato quell’incontro «tra il 2008 e il 2010», prima di una campagna elettorale. «All’epoca il clan – ha aggiunto De Santis oggi in aula – doveva fare la campagna elettorale per il presidente della circoscrizione e per il Comune. Come presidente della circoscrizione Japigia-Torre a Mare era candidato Giorgio D’Amore», che, sempre secondo De Santis, si sarebbe «vantato» dei «duemila voti presi a Japigia».
Bari, il pentito Milella incastrato da Di Cosola e dalle intercettazioni. Arrestato a Genova anche il barese Maciste
Milella è stato fondamentale con le sue dichiarazioni nelle ultime inchieste più importanti dell’antimafia a Bari e dal 2020 vive in una località protetta in Liguria insieme alla sua famiglia, ma non ha per nulla abbandonato la sua attività criminale negli ultimi anni, appoggiato anche dalla moglie, Maddalena Cassano. Ora tutto questo potrebbe costare caro e portare anche alla sospensione del programma di protezione.
Continue readingOmicidio Mimmo Capriati, il pentito Maselli in aula: “Mi hanno detto di aver visto Domenico Monti sparargli”
Michelangelo Maselli, soprannominato Miki occhi blu, è stato ascoltato in videoconferenza come testimone in aula nella Corte d’Assise di Bari nel processo in cui sono imputati Maurizio Larizzi e Domenico Monti con l’accusa di essere rispettivamente il mandante e l’esecutore materiale dell’omicidio di Mimmo Capriati, il 49enne nipote del capoclan Tonino, avvenuto il 21 novembre 2018 davanti alla sua abitazione.
Maselli, vicino al clan Palermiti, ha deciso da poco di diventare un collaboratore di giustizia. “Mi hanno riferito di aver riconosciuto Domenico Monti che sparava a Mimmo Capriati. Mi hanno detto che lo hanno visto”, le parole riportate da La Gazzetta del Mezzogiorno. Poi ha parlato dei rapporti con la famiglia Capriati, soprattutto con i nipoti della vittima, Bino e Cristian. Sono stati proprio loro a svelare, secondo quanto raccontato dal pentito, i dettagli dell’omicidio. “Dopo circa un anno che ci eravamo conosciuti. Il cugino gli aveva detto che quella sera aveva visto Mimmo u’biund (Domenico Monti) nascosto fra i cespugli”, ricostruisce. Larizzi invece lo aspettava dall’altro lato della strada a bordo di una macchina.
Il presidente della Corte d’Assise ha convocato successivamente i fratelli Sabino e Christian Capriati. Il primo si trova in carcere e ha negato di conoscere Maselli, prima di ripetere più volte di non essere interessato alla vicenda e chiedere di andar via dall’aula. Il secondo ha confermato di averlo conosciuto ma di non aver mai parlato in famiglia dell’omicidio dello zio. Si tornerà in aula il 23 luglio per la requisitoria del pm. Il 27 settembre è invece prevista la sentenza.
Mafia a Bari, si pente anche “Miki occhi blu”: Michelangelo Maselli fa tremare il clan Palermiti di Japigia
Il 30enne Michelangelo Maselli, vicino al clan Palermiti di Japigia e soprannominato “Miki occhi blu”, si è pentito ed è diventato un nuovo collaboratore di giustizia. È uno degli arrestati della maxi inchiesta “Codice Interno” della Dda di Bari che ha portato in cella 137 persone in cui è emersa l’infiltrazione dei clan mafiosi nel tessuto economico, sociale e politico della città.
“Ho maturato la decisione di collaborare con la giustizia per i fatti di cui io ed i miei familiari sono state vittime e ho deciso di cambiare vita anche per loro”, le parole proferite ai magistrati e riportate da La Gazzetta del Mezzogiorno. I pm Antimafia lo avrebbero già interrogato nei giorni scorsi e Miki occhi blu avrebe già rivelato alcuni retroscena sugli agguati commessi a Japigia a gennaio e ad aprile 2017 in cui persero la vita i pregiudicati Giuseppe Barbieri e Nicola De Santis. Il primo fu ucciso perché iniziò a comprare la droga da Antonio Busco, rivale dei Palermiti, e non più da Domenico Milella, ex braccio destro del boss Palermiti, provocando così la reazione del clan di Japigia. La risposta di Buscopassò prima dall’omicidio di Giuseppe Gelao, in cui rimase ferito anche il nipote del boss Palermiti, e poi all’omicidio De Santis.
Voto di scambio a Bari, indagine su Decaro archiviata: la commissione Antimafia chiede gli atti
Non sono stati raccolti riscontri, e quindi sono state archiviate, le dichiarazioni di un pentito che aveva detto di avere avuto un incontro alla presenza anche del sindaco di Bari e di avere assicurato il suo appoggio elettorale in cambio di posti di lavoro. Ma da Roma vogliono vederci chiaro.
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