Sono Domenico Sidella, 53 anni detto Musolin e vicino al clan Diomede-Mercante, sua moglie Caterina Santoro (47 anni) e Raffaele Altieri, 60 anni, i 4 imputati ritenuti responsabili dei reati di “estorsione continuata aggravata in concorso” e “incendio aggravato”, entrambe con l’aggravante del metodo mafioso, nonché “occupazione abusiva di spazio demaniale”, nel processo iniziato ieri in merito a quanto accaduto nel porto di Santo Spirito. Antonio Navoni, detto Tre Ruote, ha invece scelto il rito abbreviato. Sidella, Navoni e Altieri sono finiti in carcere. La moglie di Domenico Sidella è finita ai domiciliari, mentre il figlio della coppia, Michele (28 anni), è indagato a piede libero.
Secondo l’impostazione accusatoria le indagini hanno fatto luce sul clima di assoggettamento cui erano soggetti i titolari delle imbarcazioni ormeggiate nel porto di Bari Santo Spirito, così come denunciato in un esposto anonimo pervenuto presso gli uffici della citata Stazione Carabinieri da cui ha avuto inizio l’attività d’indagine. I successivi approfondimenti, condotti mediante l’analisi dei sistemi di videosorveglianza, numerosi servizi di osservazione e l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche, hanno consentito di accertare il collaudato sistema estorsivo messo in atto da Domenico Sidella, censurato e gravato da un precedente penale per reati associativi, il quale, da diverso tempo e con il concorso degli altri indagati, ha svolto un servizio di guardiania abusiva nel porto, inducendo i diportisti a corrispondere somme di denaro a titolo di “protezione” del natante ormeggiato, pena la prospettazione di un danno ingiusto. Le richieste, su base mensile, erano definite da un tariffario in base alle dimensioni del natante, da un minimo di 10 euro per i “gozzetti” ai 100 euro per i pescherecci, il tutto in un clima di omertà e di assoggettamento delle vittime, consapevoli, in caso di rifiuto, del rischio di furto della strumentazione installata a bordo o del danneggiamento degli stessi natanti, come ricostruito nell’attività investigativa.
In particolare, si è evidenziato il ruolo di supremazia acquisito nel porto di Sidella che aveva occupato abusivamente l’area demaniale antistante il porto, delimitandola con una catena, così da impedirne l’uso pubblico al fine di adibirla a parcheggio delle autovetture private, ricevendo spesso la preventiva richiesta telefonica da alcuni utenti. Lo stesso indagato ha poi tentato di inserirsi nell’attività di custode presso un circolo nautico del porto, minacciando di morte il legittimo custode al fine di indurlo a rinunciare al servizio di guardiania svolto, senza tuttavia riuscirci.
Tra le vittime delle estorsioni anche un assistente di polizia che, dopo aver rifiutato di pagare il compenso richiesto, ha redatto una relazione di servizio denunciando l’episodio. Ma insieme alle altre 11 vittime non si è costituito parte civile, tutte si sono tirate fuori dalla vicenda giudiziaria, eccetto la Regione Puglia e il Comune di Bari che lamentano un danno d’immagine. Nessuno ha voluto metterci la faccia.