Processo a Bari, Olivieri ammette di aver dato soldi in cambio di voti: “Dovevo indebolire il centrodestra nel 2019”

“Chiedo scusa alla città, ho sbagliato”. Lo ha detto in aula a Bari Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale in carcere dallo scorso 26 febbraio per scambio elettorale politico-mafioso ed estorsione, nel corso del suo interrogatorio tuttora in corso davanti al gup Giuseppe De Salvatore dove si celebra il processo a lui e ad altri 107 imputati con rito abbreviato.

Olivieri, secondo quanto emerso finora (l’udienza è a porte chiuse), avrebbe ammesso di aver sbagliato ad aver dato soldi in cambio di voti, ha confermato – come già fatto durante il primo interrogatorio – di non conoscere i legami con i clan delle persone con cui ha fatto la campagna elettorale del 2019 (in particolare di Tommaso Lovreglio, nipote del boss del quartiere Japigia ‘Savinuccio’) e ha anche sostenuto di aver rinunciato allo stipendio e all’autista una volta diventato presidente della Multiservizi, la municipalizzata barese che si occupa del verde.

“Il mio ruolo era di indebolire il centrodestra”, le sue parole.  Olivieri sta ricostruendo gli accordi presi durante i mesi precedenti alle comunali di quell’anno e ha anche ammesso di aver regalato buoni pasto e buoni benzina, oltre che una moto, per l’organizzazione della campagna elettorale.

L’ex consigliere fu arrestato con altri 130 nell’ambito dell’inchiesta ‘Codice interno’ di Dda e squadra mobile di Bari, che ha svelato presunti intrecci tra mafia, politica e imprenditoria in città. Olivieri, per l’accusa, nel 2019 avrebbe raccolto e pagato i voti dei clan Parisi, Striusciuglio e Montani di Bari per favorire l’elezione al consiglio comunale di Bari della moglie Maria Carmen Lorusso, anche lei imputata.

Dopo l’esame in corso dei suoi difensori Gaetano e Luca Castellaneta, l’interrogatorio potrebbe durare fino al pomeriggio. Olivieri è arrivato a Bari la mattina del 12 febbraio dal carcere di Lanciano, dove è detenuto in regime di alta sicurezza.

Appalti in cambio di voti, nuova inchiesta a Triggiano: tra i 19 indagati anche l’ex sindaco Donatelli

L’ex sindaco di Triggiano, Antonio Donatelli, è indagato in un’inchiesta parallela su una serie di presunti appalti truccati per favorire imprenditori amici in cambio di utilità e del finanziamento della sua campagna elettorale nel 2021. Donatelli ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini assieme ad altre 18 persone. Le accuse a vario titolo sono di corruzione, turbativa, falso aggravato e subappalto non autorizzato.

Tra gli indagati anche il consigliere comunale delegato ai Lavori pubblici, Francesco Saverio Triggiani. Donatelli fu posto agli arresti domiciliari lo scorso aprile e rassegnò le sue dimissioni dopo essere rimasto coinvolto nell’inchiesta sulla presunta associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale in relazione alle amministrative di Triggiano del 2021 e alle regionali del 2020. I reati contestati all’epoca sarebbero stati commessi in concorso con Sandro Cataldo, marito dell’ex assessora regionale ai Trasporti Anita Maurodinoia (anche lei indagata).

 

Voto di scambio a Valenzano, condannate 16 persone. Voti per Ferri e Dentamaro: 20 anni al capoclan Buscemi

La gup di Bari Anna Perrelli ha condannato con rito abbreviato 16 persone a pene che vanno da un anno e quattro mesi a 20 anni di reclusione per i reati, a vario titolo, di scambio elettorale politico-mafioso, associazione mafiosa, usura, estorsioni, minacce, riciclaggio e reati in materia di armi e droga.

La pena più alta è stata inflitta al 43enne Salvatore Buscemi, considerato capo dell’omonimo clan di Valenzano (Bari) e riconosciuto colpevole (unico dei 16 condannati) anche dello scambio elettorale politico-mafioso per le amministrative di Valenzano del 10 novembre 2019. Per l’accusa, avrebbe promesso i “voti della malavita” all’ex consigliera comunale di Bari Francesca Ferri e al compagno Filippo Dentamaro in modo da favorire l’elezione di candidati a loro vicini nella lista ‘Valenzano-Trasparenza-Legalità, in cambio “della promessa (fatta dal Dentamaro con la piena adesione di Ferri) di erogazione di varie utilità”. Per lo stesso reato Ferri e Dentamaro, arrestati nel 2022, sono a processo con rito in ordinario.

Buscemi è stato invece assolto ‘perché il fatto non sussiste’ per lo scambio elettorale politico-mafioso relativamente alle amministrative di Bari del maggio 2019 (reato per il quale furono prosciolti anche Ferri e Dentamaro) e per associazione finalizzata alla corruzione elettorale per le elezioni di Valenzano dello stesso anno. In un altro processo, Ferri e Dentamaro sono imputati anche per l’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale per le amministrative di Bari del 2019 insieme a Nicola Canonico, presidente del Foggia calcio. Gli inquirenti ritengono che l’elezione di Ferri al consiglio comunale del 2019 nella lista ‘Sport Bari’ a sostegno del candidato di centrodestra Pasquale Di Rella sia stata favorita pagando le preferenze da 25 a 50 euro per elettore. Oggi, alla pena di 20 anni è stato condannato – per associazione mafiosa e altri reati – anche Ottavio Di Cillo, capoclan del comune di Cassano delle Murge affiliato ai Parisi di Bari.

Olivieri conferma: “Ho comprato voti con soldi, regali e buoni benzina”. Poi si difende: “Estraneo alla mafia”

Giacomo Olivieri, durante l’interrogatorio che si è tenuto lunedì scorso a Bari, ha ammesso di aver comprato voti pagando e offrendo buoni benzina, spesa e regali per far eleggere la moglie, Maria Carmen Lorusso, al Comune di Bari, ma allo stesso tempo ha negato di sapere che quelli a cui stava chiedendo voti erano persone vicine ai clan baresi.

Continue reading

Soldi e voti in cambio di appalti truccati quando era assessore della giunta Emiliano: arrestato Alfonso Pisicchio

Arrivano i primi dettagli sull’inchiesta della Procura di Bari, che riguarda presunti appalti truccati, in cui sono coinvolti l’ex assessore della Regione Puglia Alfonso Pisicchio, e suo fratello Enzo Pisicchio. Entrambi sono stati posti agli arresti domiciliari. I reati contestati all’ex assessore regionale, arrestato con altre 5 persone (1 in carcere, 4 agli arresti domiciliari, 2 sono destinatarie del divieto di esercitare le attività professionali per 12 mesi) sono, tra l’altro, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione per l’esercizio della funzione, truffa, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falsità materiale, turbata libertà degli incanti.

L’inchiesta coordinata dalla Procura di Bari riguarda presunti appalti truccati. In carcere è finito Cosimo Napoletano di 58 anni, di Monopoli. Agli arresti domiciliari oltre i fratelli Pisicchio, si trovano Francesco Catanese, 59 anni di Bari e Giovanni Riefoli, originario di Barletta ma residente a Bari, di 58 anni. L’interdizione dalla attività professionale per un anno riguarda invece Vincenzo Iannuzzi e Grazia Palmitessa.

Nell’ordinanza firmata dalla gip del tribunale di Bari, Ilaria Casu, si spiega che per i fratelli Pisicchio “l’unica misura proporzionale alla gravità degli addebiti adeguata a evitare il pericolo di reiterazione del reato è quella degli arresti domiciliari”. Nello specifico, il provvedimento chiarisce che per Alfonsino Pisiscchio le accuse di corruzione e turbata libertà degli incanti riguardano il periodo in cui era assessore della giunta Emiliano, quando avrebbe utilizzato “la sua influenza politica e le sue relazioni, tramite suo fratello Enzo, per una gestione clientelare del suo ruolo, con favoritismi per ottenere ritorni in termini di consenso elettorale, mediante assunzioni nelle imprese favorite o avvantaggiate di persone che assicurano il voto e che avevano militato anche nel suo partito”.

Enzo Pisicchio, invece, avrebbe agito “quale esecutore delle direttive” del fratello “e quale schermo per impedire di risalire al ruolo e al contributo di Alfonsino”. Enzo Pisicchio avrebbe avuto un “ruolo chiave nella commistione dei reati che gli vengono ascritti” in quanto “intermediario e faccendiere nei rapporti, a vari livelli, tra funzionari della pubblica amministrazione – comunale e regionale – e imprenditori non solo a livello locale ma anche nazionale”.

La gip evidenzia “la gravità delle sue condotte, la spregiudicatezza mostrata nella commissione dei reati finalizzata a soddisfare un incontenibile appetito di utilità”, spiegando che per utilità si intendono “pc, telefonini, mobilio per la casa, la finta assunzione di sua figlia, pagamento per mano di Riefoli della festa di laurea di sua figlia, ingenti somme di denaro contante”. “Le vicende esaminate hanno mostrato l’ampia capacità dei due indagati di sfruttare le relazioni costruite nel tanto tempo in ambito regionale e comunale per pilotare l’azione amministrativa e trarne vantaggio personale”, prosegue la gip.

Vito Lorusso e l’accordo con i Parisi: cure mediche gratis in cambio di voti per la figlia Maria Carmen

Risponde di concorso in scambio di voti politico-mafioso anche Vito Lorusso, l’ex primario di Oncologia medica dell’Istituto tumori Giovanni Paolo II di Bari, arrestato lo scorso 12 luglio con le accuse di concussione, peculato, truffa e accesso abusivo al sistema informatico sanitario per aver chiesto soldi ad alcuni pazienti per accedere a prestazioni garantite dal Sistema sanitario nazionale, per abbreviare i tempi delle liste d’attesa o per facilitare dei ricoveri in ospedale. È il padre di Maria Carmen Lorusso, la consigliera comunale finita ai domiciliari e moglie di Giacomo Olivieri. Secondo quanto ricostruito dalle indagini della Dia, Il medico “al fine di ottenere voti per la figlia” avrebbe preso accordi con Massimo Parisi, fratello di Savinuccio, per prendere in cura il nipote dello storico capoclan barese, poi deceduto.