“Nell’ambito delle articolate attività promosse dal gruppo di lavoro per le azioni progettuali tra Università di Bari Aldo Moro e Amministrazioni Penitenziarie, particolare emozione e risalto ha suscitato l’iniziativa di una studentessa dell’ateneo barese che ha deciso di laurearsi, chiedendo ed ottenendo che il papà, ristretto in una delle strutture penitenziarie del nostro paese, partecipasse alla sua seduta di laurea in cui ha discusso la tesi, collegandosi on line con l’aula Don Tonino Bello del Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. L’iniziativa si è potuta realizzare grazie ad un’ottima sinergia tra Università di Bari e Magistratura di Sorveglianza, Operatori penitenziari e direzione della struttura penitenziaria in cui il papà della studentessa è ristretto”.
A renderlo noto con una nota è l’Università di Bari sul proprio sito ufficiale. “Il gruppo di lavoro coordinato dal prof. Ignazio Grattagliano si occupa di favorire l’inclusione nella vita universitaria di persone detenute attraverso seminari tenuti in carcere, ricerche e studi sul mondo penitenziario, iscrizione di detenuti a corsi universitari UNIBA, operatori penitenziari che svolgono attività seminariali per studenti universitari che si preparano a professionalità che hanno a che fare con il mondo penitenziario (magistratura, avvocatura, forze di polizia, mondo socio-sanitario ed assistenziale) – si legge -. La tesi di laurea verte sul tema dell’importanza delle relazioni famigliari connesse alle condizioni di detenzione dei ristretti è stata discussa con la commissione Presieduta dalla Prof.ssa Loredana Perla (Direttrice del Dipartimento FORPSICOM UNIBA) e composta dai proff. Armando Saponaro (relatore della tesi) e Pasquale Musso con l’ausilio della dott.ssa Giustina Caprioli, dell’ U.O. Didattica e servizi agli studenti del dipartimento. Quando dietro ad un detenuto si chiudono le porte del carcere, al di fuori rimangono gli affetti. Le conseguenze dell’esecuzione penale non si riversano, infatti, esclusivamente sul soggetto condannato o sottoposto a misure cautelari, ma riguardano indirettamente anche i familiari. Il tema del rapporto genitoriale in carcere, si presta ad essere esaminato sotto una pluralità di profili: dal diritto della persona, benché ristretta, a non essere lesa nella sua dignità e genitorialità, al diritto dei figli a conservare un rapporto con il genitore recluso, all’importanza, anche ai fini rieducativi e riabilitativi, nonché in prospettiva del loro reinserimento sociale, che soggetti, uomini e donne, ristretti in carcere continuino a percepirsi e ad essere vissuti come padri, madri, ma anche fratelli, sorelle, zii, nonni e si diano loro concrete opportunità di continuare a vivere ed esercitare tali ruoli”.